Le intercettazioni telefoniche e ambientali diventano l’ago della bilancia anche nel processo di appello contro la sentenza del Tribunale di Monza che ha condannato per bancarotta fraudolenta a 12 anni di reclusione Giuseppe Malaspina, l’imprenditore accusato di aver tentato di salvare il suo impero immobiliare milionario dal fallimento assoldando una ‘corte dei miracoli’ di professionisti, che invece sono stati assolti. Assoluzioni decise per alcuni capi di imputazione con formula piena, per altri per insufficienza di prove. E dopo che il Tribunale ha accolto l’eccezione della difesa secondo cui non potevano essere utilizzate nei confronti degli imputati le intercettazioni precedenti al 2 novembre 2015. La scure giudiziaria, permessa da una sentenza della Corte Costituzionale, impone che, se i magistrati indagano su un’ipotesi di reato per cui hanno ottenuto l’ok per le intercettazioni ed emergono altri presunti reati, devono farsi autorizzare le intercettazioni successive e non tenere conto di quelle precedenti. La conferma della non utilizzabilità è venuta recentemente anche dalla Corte di Cassazione che ha annullato, con rinvio a un’altra sezione della Corte di Appello di Milano, la sentenza di secondo grado per altri presunti complici di Malaspina. E ieri, davanti alla Corte di Appello di Milano per il dibattimento a carico di Malaspina, il procuratore generale ha chiesto di acquisire e studiare i decreti che hanno autorizzato le intercettazioni prima di procedere con la sua requisitoria, slittata a gennaio. È stata la Procura di Monza a presentare ricorso contro l’assoluzione dell’avvocato ex giudice della sezione fallimentare monzese Gerardo Perillo, dell’avvocata Fabiola Sclapari e dei commercialisti Antonio Ricchiuto (genero di Perillo) e Salvatore Tamborino. Sul fronte intercettazioni, la Procura stava indagando da novembre 2014 su Malaspina per un’ipotesi di corruzione al Comune di Correzzana che poi non ha avuto seguito, ma solo un anno dopo ha chiesto le intercettazioni per indagare per bancarotta fraudolenta e reati fiscali e solo da quella data sono utilizzabili.
Una ricostruzione che non vede concordi i pm monzesi, secondo cui esiste una connessione tra le due indagini che rende le intercettazioni utilizzabili. Per non parlare del fatto che le conversazioni sono state contestate agli indagati nei successivi interrogatori, dove qualcuno ha pure confessato. La Procura ritiene infine anche che sussista l’associazione a delinquere.
S.T.