
"Mamma, ho tanta fame" Le lettere dei soldati dai campi di prigionia nascoste dal generale
di Dario Crippa
“Correspondance des Prisonners de Guerre. Croce Rossa
Mittente Regina Ved. Riboldi, via Gerardo Tintori 4 Monza“.
La carta, ingiallita, risale a oltre un secolo fa. Si tratta di una cartolina, costata 5 centesimi, e spedita dalla Germania, da Minden i Westf. Sede di un campo di prigionia tedesco. La data stampigliata in calce è quella del 29 agosto 1914 e dentro ci sono tutte le speranze e l’ansia di una madre per il proprio figlio: Pompeo Riboldi, prigioniero numero 69634.
Siamo nel pieno della Prima guerra mondiale. L’esercito italiano è impegnato in feroci combattimenti contro quello Austro-ungarico. Guerra di trincea, di privazioni, di disfatte (Caporetto) e rivincite (il Piave). I morti e i feriti si contano a migliaia. E pure i prigionieri.
Centomila di loro trovano la morte in quei campi, stroncati da fame, dissenteria, tubercolosi, freddo. L’aspetto più tragico, secondo quanto ricostruito dagli storici, è che i prigionieri italiani muoiono soprattutto per il disinteresse, o peggio, delle autorità politiche e militari dell’epoca. Governo e generali (Luigi Cadorna in primis) non solo non fanno nulla per alleviare le loro sofferenze, ma decidono a mente fredda che devono morire per dare l’esempio, nella convinzione che si fossero lasciati catturare per disertare. E quindi fanno di tutto perché la corrispondenza con le famiglie e i pacchi di cibo e vestiario spediti dall’Italia non vadano a buon fine. "Pompeo carissimo, ho ricevuto una tua carissima in data 21-7: sento che hai ricevuto un 2° pacco di pane ed uno di misto contenente scatolette! … si vede che è parte del pacco… pazienza! E ricevi mensilmente pane e un pacco misto? Spero". La signora Regina è in ansia, chiede se quanto inviato sia arrivato a destinazione e sia finito nelle mani del figlio.
Qualcosa sì, si desume. Ma parecchio, verosimilmente no. Fa stringere il cuore immaginare l’apprensione della mamma. La lettera prosegue con una promessa. "Lunedì 2 settembre ti faccio un pacco misto: vi metterò calze 4 paia, 1 camicia, 1 paio di mutande come mi hai cercato. Or ora ho ricevuto dall’amico Confalonieri la tua cartolina a lui diretta. hai fatto bene, caro, a ringraziarlo dei pacchi, li hai ricevuti? Povero Pompeo! Tanto devi aver sofferto… coraggio. Sento che ora stai bene... Sempre ti penso e un giorno ritornerai a farmi lieta e felice… Meno è a casa in licenza. Oggi ti scriverà. Le sorelle ti salutano: io ti abbraccio e bacio con immenso affetto. Tua sempre. Mamma".
Non sappiamo cosa sia avvenuto di quella spedizione. Rimane solo la lettera. A trovarla un collezionista e a suo modo un filantropo. Vittorio Rossin, funzionario dell’Ufficio Statistica del Comune di Monza. Un’altra delle lettere scovate riporta la data del 29 gennaio 1918. A scrivere è la monzese Adele Garlati, residente in via Zucchi 37. Il destinatario è il figlio Edoardo, 50° Battaglione, numero di matricola 92517. Detenuto in un campo in Ungheria. Il tenore della missiva è sempre il medesimo. Come stai? Hai ricevuto il pacco? "29-1-918 Monza, Edoardo carissimo. Finora mi trovo solo in possesso di una tua cartolina in data 9-12. Sempre sono in attesa di tue nuove, voglio sperare che ti troverai in buona salute, anche noi tutti stiamo bene e ti ricordiamo sempre. Il giorno 24 ti ho spedito pacco contenente scatola condimento, cioccolatte, pane e formaggio. Fiduciosa che abbiano a recapitarli tutti, sempre oggi ti ho spedito altro pacco con pasta, riso e pane". i pacchi spediti in tutto sono sette,"ti prego di confermarmeli ...baci".
Ma non si tratta solo di lettere della Prima guerra mondiale. Basta spostarsi di piùdi una ventina d’anni e ci si può ritrovare in Egitto nel 1944. Durante la Campagna del Nordafrica. Questa volta il prigioniero di guerra si chiama Giulio Piazza e abita in via Milano 14 a Monza. Un monzese che scrive dal campo inglese 307 in Egitto, quindi un P.O.W., un “Prisoner of war”.
"Campo Numero 307, cO Chief P.O.W. Postal Centre Middle East. Dal prigioniero di guerra No. 364228 Piazza Giulio, 7.3.1944 Grado Soldato.
Miei genitori carissimi. Già alcuni miei compagni hanno ricevuto corrispondenza di recente". Il soldato Piazza è speranzoso, perché ha avuto prova del fatto che il servizio di corrispondenza postale "ha ripreso il suo corso normale e perciò spero anch’io di ricevere vostre lunghe nuove che mi tranquillizzino e mi diano la certezza della vostra sempre ottima salute! Vi spero sempre bene e confermo per me tutto ottimamente! Bacioni…". Vittorio Rossin analizza date, timbri e contenuti delle missive. E riflette amaro, esibendo una missiva datata 1918 e trasmessa dall’Ufficio Notizie alle Famiglie dei Militari. Arriva da Mauthausen. "I campi di prigionia furono spesso riutilizzati, in Polonia e Austria, per diventare i lager dell’epoca nazista. Da cave di granito a campi di sterminio. Queste lettere erano salvate dalla Croce Rossa che tentava di garantire una corrispondenza fra i prigionieri e le loro famiglie". Nominato a Milano di recente “Paladino della Memoria”, su segnalazione dell’associazione nazionale Voloire (Reggimento artiglieria terrestre a cavallo), Rossin sogna che il suo patrimonio possa finire un giorno in un museo, "sono disposto a lasciare tutto a un ente pubblico che lo conservi e renda fruibile. Queste lettere sono ovviamente disposto a consegnarle gratuitamente a eventuali discendenti". E tira fuori l’ennesimo documento. Agosto 1943. La scrive ai famigliari Antonio Del Giovine, imbarcato a bordo della corazzata Roma. Un mese più tardi, il 9 settembre, giorno dopo l’Armistizio, sarebbe morto assieme ad altri 1.400 commilitoni nell’affondamento della nave, colpita da un aereo tedesco.