Una nuova condanna, questa volta per l’accusa di calunnia, per la “Mantide della Brianza“ Tiziana Morandi, la 48enne di Roncello che è stata condannata dal Tribunale di Monza a 16 anni e 5 mesi di reclusione per avere narcotizzato e derubato nove uomini tra i 27 e gli 84 anni e che è in attesa del processo di appello. La giudice per le udienze preliminari del Tribunale di Monza Angela Colella le ha inflitto 1 anno e 8 mesi di reclusione nel processo col rito abbreviato per aver raccontato al dibattimento davanti ai giudici monzesi una versione opposta a quella spiegata in aula da una delle vittime, l’84enne di Roncello che aveva rischiato la vita per le benzodiazepine messe in una camomilla e si era risvegliato in ospedale senza la catenina in oro con i ciondoli che gli erano più cari, l’anello del matrimonio con la moglie morta 10 anni fa, il crocefisso, i ciondoli di quando vinceva le corse ciclistiche e il cuoricino della leva. La Mantide nel suo interrogatorio aveva dichiarato che era stato il figlio disabile dell’anziano, che aveva conosciuto in paese e che la aiutava a vendere dei gadget per raccogliere soldi in beneficienza per i bambini malati, a chiamarla dicendole di avere ucciso il papà e mostrandole al suo arrivo una boccetta di calmanti che gli aveva fatto bere. Era stato lo stesso Tribunale a inviare alla Procura quell’interrogatorio per procedere per calunnia.
Tiziana Morandi, ancora detenuta in carcere, ieri si è presentata nell’ufficio della gup del Tribunale di Monza Angela Colella mostrando una diversa capigliatura, un caschetto lungo colore biondo platino. A dicembre è fissato il processo di appello, dove la donna vuole pagare il risarcimento del danno all’unica vittima che si è costituita parte civile, un 28enne di Trezzo sull’Adda che al ritorno da un massaggio a casa della Mantide aveva avuto un grave incidente in auto. Il versamento servirebbe alla difesa a ottenere un’apposita attenuante che potrebbe comportare una diminuzione della pena. La difesa di Tiziana Morandi potrebbe decidere di patteggiare la pena col cosiddetto concordato in appello, oppure proseguire nella strada di una richiesta di perizia psichiatrica, lamentando disturbi della personalità della 48enne, che soffrirebbe per "tratti antisociali e evitanti". Perizia che non fu concessa in primo grado.