
Il direttore d'orchestra Michele Spotti
Monza, 5 marzo 2017 - Si chiama Michele Spotti, è nato a Cesano Maderno l’1 maggio 1993 e a 23 anni è uno dei più giovani direttori d’orchestra d’Italia, forse del mondo. Direttore principale della Milano Chamber Orchestra, è considerato uno dei talenti più promettenti del mondo della musica. Non per caso, quando si è diplomato al Conservatorio “Giuseppe Verdi” di Milano è stata la quinta persona a riuscirci col massimo dei voti.
Innanzitutto, cos’è per Lei un direttore d’orchestra? "È colui che fa respirare l’orchestra, un mediatore fra quanto accade sul palcoscenico e quanto succede nella buca".
Figura affascinante... "È l’unico che non guarda il pubblico ma gli volta le spalle... e questo è emblematico, perché il direttore è completamente dentro quello che accade, è il solo ad avere una conoscenza davvero totale di cosa stia succedendo. È il punto cardine: a volte basta una sua sola occhiata per rendere un passaggio musicale più sicuro".
Come deve essere? "Deve avere carattere, deve metterci sempre tutta l’energia possibile per arrivare come per magia agli orchestrali, ai cantanti e al pubblico".
Gli orchestrali però dovrebbero conoscere lo spartito a menadito: a cosa serve davvero un direttore? "Oggi il livello di preparazione delle orchestre, soprattutto rispetto a un tempo, è davvero alto e mi è capitato di dirigere orchestre in grado di suonare da sole. Ma senza direttore le loro esibizioni sarebbero senza personalità".
Immagino che abbia sempre amato la musica, ma cosa l’ha spinta verso la direzione d’orchestra? "Da ragazzino ho iniziato suonando il violino e il pianoforte ma la svolta è arrivata guardando Fantasia di Walt Disney: in quel cartone vedevo Léopold Stokowski dirigere l’orchestra, la sua figura in penombra per me era magica e ho deciso subito cosa avrei voluto fare da grande! In fondo, rispecchia anche un po’ la mia natura dispotica: mi piace avere il controllo delle situazioni e prendere decisioni, avere addosso il piacevole peso che si prova quando si prendono delle responsabilità".
E come si fa? "Devi imparare ad approcciarti a chi hai davanti, devi cogliere subito l’umore dei tuoi orchestrali. E non nel giro di dieci minuti, ma di dieci secondi!".
La storia è piena di grandi compositori, quali sono i suoi modelli? "Riccardo Muti e Gianandrea Noseda sono riuscito a incrociarli. Noseda soprattutto mi ha impressionato. Ho avuto la fortuna di studiare con lui e mi ha colpito la sua carica, la sua aura, la magia e la tensione: questo è il “potere” a cui aspiro".
Claudio Abbado, quando parlava del suo “lavoro”, ricorreva al termine tedesco zusammenmusizieren, “fare musica assieme”. Altri direttori danno un’impressione diversa, più autoritaria. E Lei? "Quella di Abbado è una visione magnifica, teoricamente... ma per me ci devono essere sempre gerarchie e ruoli precisi: in sala devi essere un punto di riferimento, non puoi stare allo stesso livello con tutti. La visione di una musica totale però è fantastica, in fondo io muovo solo aria, sono altri quelli che suonano".
A volte, per come parla della sua professione, sembra un allenatore di calcio... (ride) "Amo il calcio, faccio un sacco di metafore con questo sport: bisogna saper gestire uno spogliatoio: a volte ci sono artisti in conflitto che giocano in ruoli simili, ma devi saper sfruttare tutto il cast a disposizione, compresa la panchina".
So che è juventino: manderebbe mai un suo orchestrale in tribuna come ha di recente fatto Allegri con Bonucci? (ride) "Spero che non capiti, ma se servisse non esiterei a farlo".
Ha 23 anni, è giovanissimo: come fa a dirigere musicisti che spesso sono molto più vecchi di lei? "Nella mia vita ho cominciato presto e ho sempre corso. Certo, l’età è un tasto delicato, ma molto dipende dall’intelligenza degli artisti. Soprattutto agli esordi mi sono capitate situazioni difficili, ma fondamentali per creare un carattere: quello del direttore d’orchestra non è un mestiere per deboli".
Un passo indietro: la sua famiglia? "Mio padre e mio fratello sono architetti, mia madre insegnante di religione, il nonno falegname: stirpe di legnamé brianzoli".
E la musica? «Mio padre è appassionato di lirica, ma i geni arrivano soprattutto dalla nonna materna, pianista, che insegnava musica e mi ha dato una mano, anche se la volontà di studiare per diventare direttore d’orchestra fu tutta mia».
Qual è la sua musica preferita? "Sono aperto a tutta la musica, tranne (per ora) al jazz.... ma è soprattutto l’opera la mia favorita, la più soddisfacente: ha tutto, musica, regia, scenografia, recitazione, balletto...".
Cosa predilige? "Amo in particolare il belcanto, e quindi Donizetti, Rossini e Bellini. E mi emoziona molto Mozart. A Puccini poi sono particolarmente legato: l’anno scorso con la Bohème ho vinto il secondo premio al prestigioso concorso internazionale per Direttori d’Orchestra Spaziomusica di Orvieto".
Che sogni coltiva un direttore? "Dirigere la prima della Scala, ma mi basterebbe metterci un piede anche solo per una piccolissima recita".
In un mondo per vecchi, la giovane età è un limite? "Per nulla, anzi: sono giovane, italiano e pieno di energia, una combinazione che funziona. E poi devi avere un buon procuratore-agente e io... per fortuna ce l’ho".
Si guadagna a fare questo mestiere? "Il direttore ha il cachet più importante".
E si “cucca”? "Quella del direttore è una figura che affascina, ma devi sempre mantenere professionalità in teatro, è la prima regola".
Avrà qualche difetto? "Non riesco a non dare tutto, è una spada a doppia lama. A volte arrivo stremato, ma mi sembra un dovere verso la musica... in fondo, faccio la cosa più bella del mondo".
Qual è la felicità per un direttore d’orchestra? "Ci sono momenti di energia assoluta, quando sollevi una mano e sotto senti 50 persone tutte con te, che ti seguono: una soddisfazione unica!".