A quattro anni dalla morte di Maria Teresa Avallone arriva la sentenza sulle presunte colpe del chirurgo estetico che l’ha sottoposta a un trattamento per il sollevamento dei glutei. Domani il Tribunale di Monza si pronuncerà su Maurizio Cananzi, medico con studio a Seregno, imputato di omicidio colposo. Per lui il pubblico ministero della Procura di Monza Sara Mantovani ha chiesto la condanna a due anni di reclusione con la pena sospesa.
"L’utilizzo del defibrillatore presente nello studio medico avrebbe potuto salvare la vita a Maria Teresa. Il suo cuore, da 32 minuti in arresto cardiaco, è ripartito dopo 17 minuti di manovre rianimatorie. Ma nel frattempo l’encefalo ormai era morto", è la conclusione della pubblica accusa. La 39enne, impiegata all’ufficio accettazione dell’ospedale San Raffaele di Milano e residente a Desio, è spirata dopo tre giorni di coma per un arresto cardiaco, che l’ha colpita durante la preparazione con anestesia locale a un trattamento di sollevamento dei glutei con fili sottocutanei.
L’intervento in day hospital
La donna si era recata il 5 marzo del 2019 nello studio medico di Seregno per un trattamento in day hospital. Non era la prima volta che si sottoponeva a piccoli ritocchi, anche con somministrazione di anestesia locale. Ma quel giorno, secondo la ricostruzione giudiziaria, pochi minuti dopo l’anestesia, la donna è andata in arresto cardiaco.
Immediatamente il chirurgo, che in quel momento si trovava da solo con la paziente nell’ambulatorio, ha iniziato il massaggio cardiaco e ha chiesto l’intervento del 118. Poi l’arrivo dell’ambulanza e il trasporto all’ospedale San Gerardo di Monza, dove la 39enne è stata ricoverata.
La crisi epilettica
Ma è morta senza mai riprendere conoscenza. La pm sostiene che Maria Teresa ha avuto una crisi epilettica come reazione rara a un regolare di anestetico ma il medico era da solo nello studio. "La crisi doveva essere sedata con un calmante e con una soluzione lipidica che agisce come antidoto, ma per la paziente non era stato previsto l’accesso endovenoso", ha detto Sara Mantovani.
La 39enne "andava poi ossigenata e non le sono stati presi i parametri". Infine l’arresto cardiaco. "L’imputato ha sostenuto che dai parametri la paziente non era defibrillabile, ma il software di queste apparecchiature va in automatico, prende i parametri e si aziona in caso di bisogno". Invece il chirurgo ha operato il massaggio cardiaco e chiamato il 118. Accuse negate dall’imputato.