
Elvira Monguzzi aveva 79 anni
Monza, 22 luglio 2019 - È una calda giornata di fine luglio. È il 29 e il giorno dopo Elvira Monguzzi partirà, come fa ormai da trent’anni, per le vacanze. Stessa meta, stesso paesino, montagna. Lei, che non si è mai sposata ed è molto metodica, 79 anni discretamente portati, per nulla al mondo intende mancare all’appuntamento col fratello Emilio, 63 anni, e con la cognata. A Emilio è molto legata, ha sempre fatto quasi da mamma, vista anche la differenza di età, e l’indomani si parte per Limone di Piemonte. Quel 29 luglio di dieci anni fa va a fare per l’ultima volta la spesa. Poi, rimasta a casa da sola, si prepara da mangiare e apparecchia la tavola. I carabinieri troveranno anche il suo solito mezzo bicchiere di vino già pronto. I carabinieri sono entrati nella sua casa, un appartamento di cortile in via Spalto Piodo 4, pieno centro storico, perché è successa una tragedia. “Cadavere anomalo” lo definiscono. Emilio, che non riusciva a parlare al telefono da ore con la sorella, è andato a controllare di persona e l’ha trovata in una pozza di sangue, al piano terra, accanto alla cassapanca del locale lavanderia. Elvira è ferita alla testa. Non perché sia caduta, però. Qualcuno l’ha colpita, forse col peso di una bilancia che veniva usato da sempre come fermaporta.
Comincia così uno dei delitti irrisolti della storia di Monza. Dopo l’autopsia, si scopre che Elvira non era morta per il colpo di bilancia, ne era stata forse solo stordita, ma era stata soffocata con una vestaglia, trovata insanguinata su un divano. Ed Emilio, che per primo si era chinato sul corpo della sorella per vedere - diceva - se riusciva a scuoterla, si era macchiato di sangue. Solo che quelle macchie – secondo il Ris di Parma – erano da spruzzo. E non da contatto. Vale a dire, Emilio se le era procurate uccidendo. E poi, chi aveva ucciso Elvira doveva conoscere bene la sua casa: non c’erano segni di effrazione, non c’erano macchie di sangue in giro per casa. Gli inquirenti all’epoca puntano il dito proprio contro Emilio. La Procura di Monza tenta in ogni modo di farlo arrestare, per lui chiede addirittura per due volte un’ordinanza di custodia cautelare in carcere. Scontrandosi però sempre con il “no” del giudice per le indagini preliminari. Gli indizi contro Emilio erano troppo deboli, come erano riusciti a dimostrare i suoi avvocati difensori. Mancava anche un chiaro movente.
Quando il sostituto procuratore Vincenzo Nicolini tenta di fare ricorso al Tribunale del Riesame di Milano contro la decisione del gip, ne viene drasticamente sconfessato. Anzi, il Tribunale del Riesame evidenzia le falle dell’impianto accusatorio. E rimbrotta la Procura per non aver approfondito altre piste. Ad esempio quella che portava a una donna brasiliana. Le telecamere di videosorveglianza puntate sul centro storico l’avevano “vista” transitare nelle ore compatibili con il delitto. In più quella donna conosceva bene Elvira e la sua casa, si era fatta prestare soldi più volti da lei. E di fronte agli inquirenti aveva mentito, cambiando versione dei fatti e dei suoi movimenti quel giorno ben quattro volte. Nonostante tutto, la Procura rinvia però ugualmente a giudizio Emilio Monguzzi. E quest’ultimo si ritrova ad affrontare un dibattito che, in caso di condanna, avrebbe portato alla sua reclusione (questa la richiesta del pm) per 24 anni. Non andrà così, però. La Corte d’Assise da ragione alla difesa di Emilio. E lo assolve. Un’assoluzione piena, per non aver commesso il fatto, contro la quale alla fine neppure la Procura prima e la Procura generale poi se la sentono di presentare ricorso. Risultato? Dal 20 gennaio 2014 il caso è chiuso. Emilio Monguzzi è innocente. E nessuno sa chi abbia ucciso, un mezzogiorno di dieci anni fa, sua sorella Elvira.