Crippa
La cosa triste dei grandi amori è che quando precipitano fanno più rumore. Il Monza, arrivato in Serie A dopo 110 anni di storia solo grazie ai capitali di un milionario milanese e all’ostinazione di un monzese trapiantato a Milano, sembra avviato a una mesta retrocessione, anche se nel calcio fino all’ultimo tutto può accadere. Che le cose non andassero bene lo si intuiva già da un po’. Silvio Berlusconi, il patron, è ormai morto da tempo e in tribuna, sempre presente, con tanto di capatine in Duomo all’intervallo, c’è il solo Adriano Galliani. I figli di Berlusconi non si sono mai fatti vedere, tranne un’apparizione al primo trofeo intitolato al padre da parte del figlio maggiore Pier Silvio.
Intanto, calcisticamente parlando, dal mese di marzo il Monza ha vinto una sola partita. Hai voglia a prendertela con gli arbitri, la scalogna e gli infortuni, una squadra già deboluccia ha venduto i pochi pezzi buoni e non li ha rimpiazzati. L’allenatore, Nesta, un altro fedelissimo del vecchio Milan voluto fortemente da Galliani, non cava per il momento un ragno dal buco, ma è anche vero che la rosa a disposizione sembra a tratti inadeguata. Pier Silvio Berlusconi poi qualche giorno fa ha fatto un po’ di scalpore dicendo quanto aveva in realtà già detto: "La volontà è quella di trovare qualcuno che possa, insieme a noi o da solo, far crescere e occuparsi del Monza come vorremmo".
Traduzione: vogliamo vendere. Il problema sarà trovare a chi. I candidati per ora si sciolgono come neve al sole. L’aspetto più significativo è però la seconda parte della dichiarazione: "Noi facciamo un altro mestiere, il calcio è ormai diventato un mondo folle e il mercato è folle". Ecco. Traduzione: scordatevi i mercati faraonici di nostro padre o i 100 giocatori e rotti presi in 6 anni al Monza.
Per quelli ci vuole altro tipo di imprenditoria, disposta a fare follie. E oggi, “folli” di questo genere sono solo i nababbi o i fondi di investimento stranieri. E infatti, la Serie A oggi ha già un 50% di proprietari simili.