
Un errore di interpretazione delle conversazioni in carcere di uno degli esecutori materiali, che si riferivano non all’omicidio del rotamat siciliano milionario, ma a quello della consuocera. E che fanno puntare il dito sul presunto intermediario, che per quel delitto avrebbe dovuto essere indagato. È quanto sostiene la Corte di Assise di Appello di Milano nella motivazione della sentenza con cui, a 9 anni dall’omicidio e dopo 5 anni di processi, ha assolto i presunti mandante e intermediario dell’omicidio di Paolo Vivacqua, ammazzato il 14 novembre 2011 con 7 colpi di pistola nel suo ufficio di Desio. Diego Barba e Salvino La Rocca erano stati condannati a 23 anni di reclusione ciascuno nel 2015 dalla Corte di Assise di Monza, che aveva inflitto l’ergastolo ad Antonino Giarrana e Antonino Radaelli, ritenuti gli esecutori materiali del delitto e già in carcere per il successivo omicidio della consuocera di Vivacqua, Franca Lojacono, accoltellata alla gola nel box della sua abitazione nel giugno 2012. Per loro ora i giudici milanesi hanno abbassato la condanna dall’ergastolo a 25 anni di carcere non riconoscendo l’aggravante della premeditazione nell’omicidio dell’imprenditore. Nel terzo giudizio di appello la Corte meneghina fa piazza pulita delle precedenti interpretazioni su responsabilità e movente, portando anche alla luce quelli che ritiene degli errori materiali fuorvianti. "Le intercettazioni in carcere delle conversazioni di Giarrana hanno ad oggetto l’omicidio Lojacono" e non quello precedente di Vivacqua, sostengono i giudici, che aggiungono come la distinzione sia "assolutamente fondamentale e già l’aveva fatta il primo giudice, salvo poi confondere nuovamente il contenuto e porle a fondamento delle responsabilità di Barba e La Rocca per l’omicidio Vivacqua". In questo senso "si era espressa anche la prima decisione di appello, dove i giudici osservavano che non esistono conversazioni che riguardino Barba in cui si faccia riferimento al delitto".
Diversamente, secondo i giudici milanesi, "è di tutta evidenza che Giarrana coinvolge in prima persona solo La Rocca nell’omicidio Lojacono e sinceramente sorprende che questi non sia mai stato indagato come mandante di quel reato pur a fronte di dichiarazioni pesanti". "Lui deve ringraziare me perché, se parlo io, il primo che va a finire in galera qua dentro è lui", diceva Giarrana al fratello parlando del cugino Salvino La Rocca. Mentre di Barba, sedicente investigatore privato, diceva: "Quello, l’investigatore privato che ha Salvino... da lui posso sapere quello che hanno in mano" riferendosi agli inquirenti. I giudici passano poi al setaccio i vari moventi individuati nei ben sette giudizi precedenti.
"Sorprende che, al momento di trarre le conclusioni, il primo giudice ed entrambi i giudici di appello chiamati dalla Cassazione ad esprimere un convincente movente dell’omicidio Vivacqua, abbiano aderito alla tesi del movente misto" ossia il denaro (i 5 milioni di euro ricavati dal “Berlusconi di Ravanusa” per la vendita del terreno Bricoman a Carate), l’orgoglio ferito per un pestaggio ricevuto dai figli di Vivacqua che sospettavano che la madre Germania Biondo, lasciata dal marito per una donna più giovane, avesse una relazione con Diego Barba. E che entrambi fossero i mandanti dell’assassinio, ma la Biondo è stata assolta già in primo grado da questa accusa. Sul movente dei 5 milioni di euro già in precedenza altri giudici si erano espressi sostenendo "illogico ritenere che Vivacqua andasse in giro con una valigetta con quel denaro o la lasciasse in un ufficetto non fornito di particolari sistemi di sicurezza". Inoltre le indagini hanno accertato che nell’ufficio non è stata toccata la cassaforte e neanche presa la discreta somma che Vivacqua teneva in tasca. Particolari che contrastano col movente economico. "E ciò a prescindere - aggiungono - dalla circostanza che le somme provenienti dalla vendita del terreno erano, secondo altrettanta accreditata versione già finiti su conti correnti cinesi".
Stefania Totaro