Monza – Nella realtà “soffro di vertigini e l’alpinismo non fa per me”, ma metaforicamente parlando “vado subito in cima”. Le “scalate“ sono nel suo curriculum. Pietro Invernizzi è il nuovo direttore scientifico dell’Irccs San Gerardo. Alla guida del reparto di gastroenterologia e Centro per le malattie autoimmuni del fegato, professore all’università Bicocca e direttore del Dipartimento di medicina e chirurgia, Invernizzi ha iniziato una trentina d’anni fa in prima linea, al pronto soccorso del San Paolo di Milano. “Lo stipendio lo guadagnavo facendo guardie e turni – ricorda –, fino a 48 anni, quando sono arrivato a Monza con un concorso universitario”. Era il 2016. In tasca “un curriculum scientifico da ospedaliero”. Perché “per essere un bravo scienziato non serve avere un titolone, serve farlo. che tu sia ospedaliero o universitario. Bisogna essere veramente un clinico e veramente uno scienziato, al di là di chi ti paga lo stipendio”. Questo lo “stile di vita“ di Invernizzi. Eed è “un gran vantaggio perché adesso faccio direttore d’orchestra”. “Il singolo può essere solo un bravissimo medico o un bravissimo scienziato, l’importante è che collaborino”. Insomma, “non puoi salire sugli ottomila d’inverno, da solo e senza le bombole”.
Direttore, da clinico-scienziato la guida di un Irccs è un po’ come raggiungere la vetta.
“In un istituto di ricovero e cura a carattere scientifico, la clinica e la scienza procedono di pari passo nella missione di curare sempre meglio l’essere umano. Siamo qua tutti con un unico obiettivo, compresi i portinai che tengono in piedi, insieme a tanti altri, tutta questa realtà. L’obiettivo è curare e curare meglio”.
È la politica del fare?
“Vengo da una famiglia di imprenditori, non di scienziati o letterati. Sono cresciuto con l’idea del combinare, del fare. Ma sempre con un pensiero. Il pensiero è generativo, è trasformante, è creativo. Si parte dal pensiero, io l’ho imparato e l’ho fatto nel mio percorso professionale. L’ho riproposto in Bicocca e spero che tanti giovani lo seguano. Non voglio persone che mi vengano a chiedere soldi e supporto a scatola chiusa. Voglio progetti, si parte da lì per avere le risorse. Perché se cerchi fondi per riuscire a fare un buon progetto, c’è un alto rischio, se non la probabilità che vai in pensione e muori senza aver combinato niente”.
Qui a Monza, invece, cosa si può combinare?
“Questo è un luogo di grandi professionisti. Sia chiaro, non è che arrivo e ho la bacchetta magica, ma una cosa è mcerta: qui facciamo ricerca che abbia benefici per i pazienti. L’importante è il gioco di squadra dei medici nei reparti con ricercatori e universitari di un’accademia che nel panorama nazionale è una delle migliori”.
Partendo dalla pediatria.
“Certamente, l’Irccs San Gerardo ha una specifica vocazione pediatrica. Lo racconta la sua storia, riconosciuta a livello nazionale e internazionale. Qua si gioca in Serie A. E vogliamo anche vincere la Champions”.
E come ci si può arrivare?
“Come Irccs puoi avere accesso a fondi a cui prima non potevi arrivare, puoi assumere degli infermieri di ricerca. Qui i pazienti si accorgeranno di essere curati meglio. E questo è possibile perché qui c’è gente che sta sulla frontiera. Ecco, la scienza vuol dire star sulla frontiera. E avere il coraggio di andare oltre. Mi spiego. Uno studia una vita per diventare trapiantologo di cuore: quando fa il primo trapianto si sente Dio, poi ancora per dieci volte, dopo cinquanta volte diventa routine. Mentre la scienza è colore, è passione, non si finisce mai di creare, di inventare, di collaborare, di coinvolgere. Per questo è importante avere clinici-scienziati”
Ma resterà solo pediatria?
“Riusciremo a caratterizzare l’Irccs San Gerardo come ente di riferimento a livello nazionale ed internazionale per la capacità di esprimere eccellenza clinica e scientifica in specifiche aree cliniche dell’età pediatrica, ma per i prossimi cinque anni mi impegnerò anche a sviluppare programmi di ricerca e cura che accompagnino i nostri pazienti dall’età pediatrica alla loro vita adulta, aprendo a numerosi collaborazioni in tutto il mondo. Rispetto a un ospedale esclusivamente pediatrico, qui noi possiamo seguire i pazienti nella fase della transizione verso l’età adulta, la fase più critica”.
Per raggiungere nuove “vette“.
“E magari vincere le vertigini”.