Monza – Scampoli di poesie, dipinti, film per volare lontano. E non pensare per qualche ora a delitti, fine pena, angoscia. È “la scuola degli altri“, quelli che a scuola ci sono andati poco e senza successo, ma per i quali adesso, dietro le sbarre della casa circondariale di Monza, diventa necessaria, per concedersi una seconda opportunità. Racconta la sua esperienza la professoressa Giovanna Canzi, insegnante di Italiano del Cpia (Centro provinciale istruzione adulti), per 4 anni in servizio nel carcere di via Sanquirico, per chi doveva conseguire l’esame di terza media. Ripercorre il suo vissuto a partire dal primo giorno in carcere, ma anche come giovane insegnante subito “spedita“ come supplente in carcere. Un battesimo del fuoco. In borsa, alcuni libri scelti per affrontare questo strano inizio. Il percorso per arrivare in aula si snoda fra controlli, cancelli che si chiudono e sguardi curiosi. Giovanna ripercorre con la mente quei lunghi corridoi in penombra, gli arredi essenziali, le sbarre che separano i diversi ambienti. Ci è voluto un lungo apprendistato per conoscere la geografia di un istituto di pena e impararne il linguaggio. Solo con il tempo la prof ha imparato a conoscere le diverse sezioni.
“Sono come gironi danteschi – racconta –, che corrispondono a diversi tipi di reato e ogni detenuto si sente meno colpevole degli altri: chi spaccia è meno colpevole di chi uccide, chi ruba è meno colpevole di chi collabora con la giustizia. Ma nessuno è più colpevole dei “protetti“, ossia di chi ha commesso crimini contro una donna o un bambino. Sono loro, i cosiddetti sex offender, gli abitanti della Settima sezione. Ma in classe sono tutti studenti. Il loro reato non ha importanza”. Dopo un viaggio che pare infinito, Giovanna entra in aula dove incontra sei ragazzi dalle spalle grosse, braccia muscolose, qualche tatuaggio e tratti somatici diversi. “Si avverte l’odore della disperazione, della povertà, dell’esclusione, della resa – continua –. Respiri con la bocca per non sentirlo. All’inizio ti viene voglia di scappare. Ma resti. E lo fai con gli strumenti più vari: un libro dedicato alle diverse bandiere del mondo può servire a leggere la storia di ogni Paese, dimenticando di essere in un luogo in cui le persone cercano di riannodare i fili della propria vita. Tutto si fa più lieve e quasi senza accorgermene sono tornata a respirare con il naso”.
Gli uomini che vivono nell’isolamento e che Giovanna porta a prendere la licenza media hanno commesso vari reati, per lo più rapine. Uno di loro sta scontando la sua pena proprio nella sezione Settima. Stefano con i suoi problemi di deambulazione, Abdou, schivo, imperturbabile, una mente logica che diffida e vuole capire. Paolo e Romeo, idealisti delusi che incontrano la prof tra gli scaffali e i banchi della biblioteca del carcere; Oreste, incapace di aprirsi e tanto più di commuoversi; il riservato Arjan, che conosce il suo abisso; Giacomo il giardiniere, che a volte si siede al sole con un romanzo; Emiliano, che Giovanna reincontra casualmente furi dal carcere in sella alla bicicletta con il “buio“, forse, dietro le spalle. Lei scambia con loro versi di poeti, frasi di scrittori, dipinti e film, mettendo la cultura occidentale alla prova di quella realtà estrema. Non giudica. Tanto il giudizio nei loro confronti è già stato emesso in tribunale, ma ascolta, cercando di far affiorare la loro voce di dentro e che consegna storie ricche di umanità soffocata, di energia sepolta sotto la rassegnazione, pronta a esplodere in una diversa direzione, in un sorriso sghembo, in un guizzo di comicità. Qui le vittime non compaiono, ma sono sottintese e presenti, mentre gli otto ragazzi, insieme a Giovanna, cercano in modi differenti, di ricostruire una normalità che non hanno mai conosciuto.