Lentate sul Seveso (Monza) – “Ringrazio Dio ogni giorno che il mio unico figlio sia vivo”. Mamma Ramona parla dalla sua casa di Lentate sul Seveso, nella Brianza più profonda: “È stato un miracolo”. Lo ripete continuamente. E forse è vero. Il suo Denis, 14 anni, il 25 gennaio scorso è stato spinto da un branco di bulli sotto un treno in partenza da Seregno: un’aggressione brutale ripresa dalle telecamere di sorveglianza della stazione che ha fatto il giro del web. Da quei binari Denis è riemerso con diverse ferite, nel corpo e nell’animo, “ma vivo”. A distanza di due mesi la sua non è più solo una storia di baby bulli, ma anche di amicizia, solidarietà, speranza.
Come sta oggi suo figlio?
“È stata dura, ma pian piano si sta riprendendo. Fisicamente è quasi guarito, psicologicamente ci vorrà del tempo. Da un mese è tornato a frequentare a pieno regime le lezioni, è molto indietro negli studi ma gli insegnanti sono molto comprensivi. I compagni di classe lo stanno aiutando molto: da qualche giorno ha anche ripreso a uscire”.
La sua vita è tornata alla normalità?
“Non proprio. Da quel giorno non ha più voluto salire sul treno, preferisce usare il pullman: ad accompagnarlo, sin dalla prima volta, un amico che frequenta lo stesso istituto di Seregno e che quel maledetto pomeriggio è stato testimone dei fatti. Poi, una mattina dopo l’altra, si sono aggregati altri compagni di classe: anche loro non prendono più il treno pur di stargli vicino. Un altro dispiacere per mio figlio è che da quel giorno non può più allenarsi in palestra. Amava la kickboxing”.
Sta frequentando uno psicologo?
“Appena uscito dall’ospedale Denis era sotto choc e poi ha guardato quel maledetto video. Tutto gli è sembrato un incubo e ha realizzato che è un miracolo se è ancora vivo. Io e mio marito non ce l’abbiamo fatta a guardarlo. Già eravamo arrabbiati e angosciati per tutto quello che aveva passato. Ora vede una psicologa: con lui ha avuto pazienza, lo sta aiutando molto”.
Denis parla con voi di quello che è avvenuto?
“All’inizio era difficilissimo farlo, era molto spaventato, ora sta tornando a sorridere. Non credo che un fatto così si possa dimenticare in fretta, ma se all’inizio aveva paura di incontrare ancora quei due ragazzi che conosceva di vista, poi, con la psicoterapia, e il fatto che i due sono l’uno in carcere e l’altro in comunità, si è fatto più sereno. Ora, se io o il papà gli facciamo delle domande, risponde anche se preferisce evitare l’argomento”.
Tutto è avvenuto per alcuni messaggi inviati a una coetanea. La frequenta ancora?
"No. Denis non l’ha più voluta vedere e neppure sentire. Sta frequentando solo gli amici e i compagni di scuola”.
I familiari dei due ragazzini della missione punitiva vi hanno contattati?
“Mai. Nemmeno una telefonata di scuse. Denis ha rischiato di morire e non ho mai avuto il piacere di sentirli: se mio figlio avesse fatto una cosa del genere, a costo di farmi buttare fuori casa, sarei andata personalmente a scusarmi”.
Vi siete rivolti a un legale?
“Confidiamo nella giustizia. Pensiamo che chi ha spinto Denis debba restare in un carcere minorile anche per essere recuperato. Gli ha rovinato la vita, ma poteva ucciderlo. In ogni caso inizialmente eravamo molto arrabbiati: nella mia testa ho maledetto quel ragazzo, ora invece mi focalizzo su altro”.
Il prossimo il 14 giugno Denis compirà 15 anni.
“Sarà una festa speciale. Io e mio marito abbiamo ancora il nostro bambino, il resto non conta più. Quando penso che Denis è vivo, e sta bene, il mondo mi sembra subito un luogo migliore”.