STEFANIA TOTARO
Cronaca

Minacce a Rebecca Staffelli: resa dei conti per Mr Rizzus

In un brano invitava ad abusare della giovane speaker radiofonica, chiesto un anno di carcere. Processo alle battute finali. La vittima: "Costretta a cambiare casa, avevo paura a tornare da sola"

A sinistra Rebecca Staffelli, a destra Mr Rizzus

A sinistra Rebecca Staffelli, a destra Mr Rizzus

Monza – Domani la giustizia potrebbe presentare il conto al trapper Mr Rizzus per le frasi ingiuriose contro Rebecca Staffelli, speaker radiofonica, volto televisivo nonché figlia di Valerio, popolare inviato del Tg satirico Striscia la Notizia. Per Simone Rizzuto, 25enne monzese imputato di diffamazione, la pubblica accusa ha chiesto la condanna a un anno di reclusione nel processo con il rito abbreviato. La contestazione riguarda un brano pubblicato su YouTube dal titolo “Non ci siamo“, nel quale il trapper canta "20900 delinquenti, sco****o la figlia di Staffelli". Nel 2019 Rebecca Staffelli si era vista taggare su Instagram il video da parte di un nickname sconosciuto che canticchiava la frase ingiuriosa invitando tutti a seguire l’indicazione data da Mr Rizzus nella sua canzone. Oltre al trapper, anche il ragazzo identificato dal nickname, il giovane di Tirano in provincia di Sondrio Simone P., si è ritrovato coimputato di diffamazione in un processo al Tribunale di Monza.

A differenza di Mr Rizzus, il ragazzo della Valtellina ha scelto il dibattimento davanti al giudice monocratico, che proseguirà a settembre. Rebecca Staffelli si è costituita parte civile e alla prima udienza di questo processo, accompagnata dal padre Valerio, è arrivata in Tribunale per essere sentita in aula. "Non sapevo esistesse questa canzone di Mr. Rizzus contro le donne, gli sbirri e la giustizia e l’ho scoperto quando sono stata taggata su Instagram da questo sconosciuto che cantava la frase su di me complimentandosi con Mr. Rizzus – ha raccontato –. Una minaccia alla violenza che ha scatenato in me molta paura perché incitava altre persone a farmi del male ed è stata seguita da insulti e minacce di altri che avevano condiviso a catena, perché l’unione fa la forza anche per le cose negative. Ho dovuto cambiare casa, cambiare i vetri dell’auto per non essere riconosciuta, avevo paura di uscire da sola, quando uscivo dalla radio da sola la sera tardi o qualcuno mi seguiva in auto per strada ho dovuto allertare le forze dell’ordine". Il ragazzo di Tirano non si è mai presentato in aula davanti al giudice e il suo difensore nega che dietro il nickname che ha taggato il video ci fosse veramente l’imputato, a differenza di quanto accertato nelle indagini eseguite dalla polizia postale, che ha già reso testimonianza in aula.