
Ragazzini con il cellulare
Monza, 24 dicembre 2019 – Nuove rivelazioni sul caso di “revenge porn” esploso in una scuola media di Monza, con una 12enne che aveva inviato a un amico una propria fotografia nuda e se l'era ritrovata mesi dopo diffusa via internet.
I fatti. Tutto viene scoperto il diciassette gennaio scorso. Due professoresse di una scuola media della città fanno una telefonata molto delicata. Chiamano una donna di 50 anni, madre di una loro studentessa: una ragazzina di 12 anni. “Dovrebbe venire a scuola, abbiamo un discorso importante da farLe”. Non possiamo sapere come venga accolta la telefonata, se la mamma fosse stata già informata o meno dalla figlia dell’incubo che gravava sulle loro teste.Il problema è infatti un caso di “revenge porn”, come si definisce oggi la nuova fattispecie di reato (dall’estate scorsa) che vede di solito ex fidanzati o ex coniugi diffondere immagini o addirittura video intimi, che riguardano quella che fino a poco tempo prima era stata la loro compagna per scopi per lo più di vendetta. Questa volta però - è il caso di ribadirlo - stiamo parlando di una ragazzina di appena 12 anni. E il suo “amico” è un coetaneo, un amico solo virtuale, conosciuto su Instagram. Forse un altro 12enne, ma di certo non un suo ex fidanzatino arrabbiato o deluso.
È accaduto semplicemente che tra il febbraio e il maggio scorso lui, conosciuto solo virtualmente tramite un’amicizia comune, le avesse chiesto di spedirgli delle foto intime. E, forse per provocarla, le aveva spedito foto delle proprie... parti intime. La 12enne, ingenuamente, lo aveva preso come uno scherzo e aveva risposto mandando due proprie immagini. Niente di sconvolgente, ma in uno degli scatti la ragazzina si era ritratta nuda davanti allo specchio. Nell'altro, soltanto in reggiseno. E avrebbe spedito le immagini confidando che sarebbero rimaste strettamente private. Per esserne sicura, come veicolo di trasmissione aveva utilizzato il social network Instagram con la modalità della “singola visualizzazione”: in parole povere, significa che appena viste, le immagini si autoeliminano.
La ragazzina pensava così di essere al sicuro da brutte sorprese. Mai fidarsi, però. Il destinatario delle foto proibite aveva trovato il modo infatti di bypassare l’ostacolo e salvare gli scatti. Poi non sappiamo cosa sia successo fra i due. Sino a poco tempo fa, quando il ragazzino, con il quale nel frattempo i contatti si erano chiusi, ha deciso di diffondere le foto intime della sua amica virtuale. Parte così l’effetto valanga. Non si sa a quanti ragazzi siano finite nel cellulare, fatto sta che le prime ad accorgersene sono state alcune compagne della vittima. Che l’avvertono e le consigliano di parlarne subito a scuola. La 12enne lo fa, e sua madre viene ufficialmente informata. E da lì la decisione, l’altro giorno, di sporgere denuncia alla Questura di Monza.
Non si sa a questo punto cosa accadrà, se il responsabile della “revenge porn” - data la sua giovane età - sia imputabile o meno. A quante persone fosse riuscito a diffondere le foto. Se ci saranno conseguenze penali o risarcimenti da pagare. Per gli adulti, è prevista la reclusione da uno a sei anni e una multa da 5mila a 15mila euro. Con aggravanti nel caso in cui la vittima sia una persona in condizione di inferiorità fisica o psichica. Intanto il Codacons ha chiesto alla Regione che in tutte le scuole siano predisposti appositi corsi di formazione per gli studenti sul grave fenomeno. E la polizia già da gennaio ha in programma alcuni incontri nelle scuole di Monza per aiutare i ragazzi a conoscere i rischi connessi all’uso imprudente dei social.
Sul caso arrivano anche le riflessioni di due addetti ai lavori, una preside e un educatore. Perché “un selfie mandato a un compagno può essere visto da mille, diecimila persone. Numeri enormi, come enorme è la forza dei social media che spesso i ragazzi non riescono a percepire”. Riflette sul tema per tutti la professoressa Elvira Cretella, dirigente scolastica dell’Istituto comprensivo Foscolo (scuole primarie Citterio, Manzoni e Buonarroti e media Bellani). “I bambini hanno in mano i cellulari sin da piccolissimi - ricorda - ma non riescono a prefigurarsi le conseguenze di ciò che postano: per loro è ancora cognitivamente difficile capire l’effetto moltiplicatore del loro gesto. Sono abituati a rapportarsi in famiglia in proporzione 1 a 4, a scuola 1 a 25, ma 1 a 1000 oppure 10mila diventa troppo difficile da prefigurare. Solo quando vivono il problema in prima persona capiscono la gravità del loro gesto, ma a quel punto il danno è fatto”. La scuola offre ai ragazzi momenti formativi con esperti sul cyberbullismo, ma l’educazione all’uso dei social network e l’impatto sull’autostima è una competenza trasversale alle singole materie. “Parlando di calcolo delle probabilità - dice la preside - già si spiegano le probabilità che un numero esca o no, introducendo il tema del gioco d’azzardo. Così si può stimare la probabilità di “click” che può avere un post su Instagram. Ma si tratta di obiettivi di lungo periodo”.
Ragazzi, ma anche genitori e insegnanti sprovveduti rispetto alle potenzialità e ai rischi di internet. “Per questo - dice Paolo Piffer, educatore e promotore dell’associazione monzese “Adagio” (psicologi e psicoterapeuti) - ci auguriamo che lo Stato e le scuole mettano in campo un budget per corsi di formazione per rendere più consapevoli grandi e piccoli. L’immagine resa dai social media impatta sulla reputazione nella vita digitale e reale: un errore in questo contesto ai danni di un adolescente o preadolescente può avere conseguenze irreparabili per tutta la vita”.