Quando ha letto sui giornali cos’era accaduto, quando ha saputo che c’era una petizione per chiedere di liberare quella ragazza, non ci ha pensato un attimo e si affrettato a firmare. E ieri, non fosse stato per un contrattempo, ci sarebbe voluto essere anche lui alla fiaccolata organizzata a Monza da tanti ex studenti di quel liceo classico in cui aveva insegnato per più di dieci anni.
Marco Ragazzi, 62 anni, docente di Italiano e Latino, oggi insegna nella “sua” Milano, al liceo Beccaria.
Ma gli anni allo Zucchi di Monza non poteva dimenticarli. Né poteva voltarsi da un’altra parte ripensando a quello scricciolo dallo sguardo fiero e dai modi spicci che era Ilaria Salis.
"Sì, la ricordo bene. Sono stato suo insegnante dal 1999 al 2002. Gli anni del liceo, corso A. Era bravissima".
Entrare nella vicenda, cosa ha fatto (o non fatto) a Budapest un anno fa, la sua vicinanza ai centri sociali, al mondo anarchico, è fuori questione oggi.
Prima ci sono principi e valori inderogabili. Al liceo classico si insegnano anche quelli, Marco Ragazzi li ha sempre seguiti.
Oggi si parla di una giovane detenuta in condizioni incivili.
Marco Ragazzi riflette: "Quando l’ho vista portata in un’aula di Tribunale con le catene e i ceppi, mi sono ricordato del suo sorriso. L’ho riconosciuta subito e quel sorriso mi ha confortato".
Chi era Ilaria?
"Di lei ricordo soprattutto, a distanza di vent’anni, il tratto di una forte determinazione e... di una assoluta integrità. Una ragazza tosta, ecco, con una forza indomita".
A scuola andava bene, si è diplomata col massimo dei voti.
"Aveva risultati eccellenti, in quella classe c’erano diversi ragazzi molto bravi e Ilaria era una ragazza che viveva con intensità oggi sempre più rara da trovare, in prima persona, quello che studiava".
Non ricorda aneddoti particolari, ma ancora ha vivi nella memoria i nomi di compagni, amici, legami affettivi dei suoi studenti. Ilaria compresa.
"Il classico forniva strumenti per leggere in modo critico la realtà e Ilaria ne era l’esempio: se vedeva un’ingiustizia, era sempre pronta a farsi sentire, a ribellarsi, anche nei confronti dell’autorità e degli insegnanti aveva un atteggiamento aperto, pronta ad affrontarli a viso aperto, era puntigliosa".
Senza sconti. Nessun timore reverenziale o sudditanza psicologica nei confronti dei “grandi”?
"Per nulla. Amava stare in gruppo, intelligente, amava lo studio, sapeva affrontare le autorità".
Ora la conosciamo per questo processo, a per il suo atteggiamento anche nei confronti dei suoi carcerieri
"Riconosco la stessa integrità che ricordo a scuola quando era giovanissima".
Il mondo dello Zucchi si è risvegliato, radunando tanti ex studenti a distanza di generazioni: avvocati, magistrati, insegnanti, artisti, manager, medici, ricercatori universitari.
"Effettivamente mi ha commosso rivedere a distanza di tanti anni questa fratellanza. Quello che è stato insegnato in quella scuola ha continuato a vivere. Non so e non voglio neanche sapere cosa sia accaduto, quello che conta è battersi perché ci sia un processo equo, rapido e rispettoso dei Diritti umani".
Ai suoi concittadini, fiaccati dalla guerra con Sparta, Pericle disse così: “Noi ad Atene facciamo così…”. Voleva esprimere l’orgoglio di far parte di una democrazia.
"Ecco, il tratto di orgoglio di questa mobilitazione è la sensazione di far parte di questa cultura e dei valori trasmessi in questa scuola".
Da.Cr.