Monza, 12 aprile 2022 - Chiesta la condanna a 8 mesi di reclusione per la mamma accusata di stalking nei confronti dell’amica di sua figlia, a cui la 20enne aveva ‘rubato’ il fidanzatino. "Non avrò pace finchè mia figlia non sarà ripagata di tutto il dolore che le avete provocato... dovete stare attenti voi due, avete finito di stare tranquilli", scriveva nel 2016 la 50enne su Whatsapp e Messenger rivolta alla ragazza, che ora si è costituita parte civile al processo per atti persecutori in corso davanti al Tribunale di Monza, chiedendo un risarcimento dei danni, il cui pagamento deve essere subordinato alla concessione della sospensione condizionale della pena in caso di condanna e anche all’obbligo per l’imputata a frequentare un percorso terapeutico per evitare di perseguitare in futuro altre persone ‘colpevoli’ di ostacolare il ménage della sua famiglia. Secondo la pubblica accusa l’allora ventenne è stata vittima, dall’agosto del 2016 alla primavera del 2017, di "un perdurante e grave stato di ansia e di paura, un fondato timore per la sua incolumità" che "la costringevano ad alterare le sue abitudini di vita", a "non uscire da sola, a guardarsi continuamente intorno e a modificare i luoghi solitamente frequentati".
Tutto sarebbe iniziato con commenti offensivi sul social network, proseguiti con messaggi minacciosi. "E’ una mia fissa... quei due la devono pagare... non mi darò pace finchè non li vedrò soffrire il doppio entrambi... Tanto prima o poi dovrai attraversare mentre guido io". E poi ancora la foto di una pistola con il commento "se per difendere la mia vita e quella dei miei cari devo usarla, io la uso senza problemi". Ma non è tutto. La ventenne sarebbe stata anche pedinata e avrebbe scoperto che la cinquantenne andava in giro a chiedere informazioni su di lei.
La ragazza si era rivolta ai carabinieri di Lissone, allegando copie di post e messaggi, testimonianze del fidanzatino e di altri amici e addirittura il video di un inseguimento in auto. E si sarebbe rivolta ad uno psicologo per affrontare il trauma della presunta persecuzione messa in atto dalla madre della sua ex amica. "Soffrivo di ansia, non sapevo come gestirla e mangiavo continuamente, ho messo su 8 chili, ho cambiato la zona dove frequentare gli amici ed avevo paura a tornare a casa da sola", ha raccontato al processo la parte civile. "La madre ha agito per senso di protezione nei confronti della figlia ritenuta un soggetto fragile, ma tutta l’energia messa per risolvere il problema della figlia che soffriva perchè era stata lasciata andava incanalata non facendo stalking nei confronti della rivale, ma sul fronte dell’autostima della sua stessa figlia - ha sostenuto la pm in aula - Invece neanche la diffida l’ha frenata". Secondo la difesa dell’imputata, invece, la ragazza non ha neanche frequentato le sedute prescritte dallo psicologo. Il processo è stato rinviato per la sentenza.