
Silvio Berlusconi e Marta Fascina verso piazza Duomo a Monza
Monza – Il risottino a Triuggio, il gelato in centro Monza, l’aletta di vitello con una vena di grasso come la faceva la mamma, ordinata dal suo storico macellaio a Monza. Silvio Berlusconi, morto ieri a 86 anni, era un milanese doc, ma da quasi mezzo secolo aveva scelto la Brianza per vivere. E in Brianza, appena poteva, mangiava. C’è anche un altro personaggio oltre all’imprenditore e al politico. Ed è quello conviviale. Si potrebbe scriverci un libro per raccontarlo: “A tavola con Silvio”.
Silvio Berlusconi, tutti gli amici di Monza: dal barbiere al macellaio
E il rapporto con il cibo di Berlusconi torna in molti racconti. Dal gelato preso con la “sua” Marta Fascina in via Carlo Alberto sotto l’Arengario, alla Gelateria La Romana (gusto preferito “Crema dal 1947”, con vaniglia e scorza di limone), alle tavolate con la famiglia al ristorante storico Fossati a Canonica di Triuggio, "dove amava - fanno sapere - i sapori del territorio e dove non mancava mai di ordinare classici brianzoli come il risotto giallo con la cotoletta, i formaggini di Montevecchia, la polenta”. Fino alla pluripremiata pizzeria Lipen di Corrado Scaglione, poco distante, dove le figlie ordinavano da asporto (anche per Silvio) quando avevano voglia di una pizza. E in centro Monza il ristorante Il Moro dei Fratelli Butticé, che tante volte lo avevano accolto con la loro cucina a cavallo tra tradizione siciliana e lombarda. “Non era la prima volta che servivamo il presidente - hanno fatto sapere -, c’era stato un primo incontro in Sardegna, all‘Obló di Poltu, e poi un altro quando ancora avevamo il Noble, ma l’ultimo, quel 26 aprile del 2022 è stato particolarmente emozionante”. “Ci hanno chiesto un tavolo all‘ultimo, il pomeriggio stesso, nonostante fossimo già pieni. La sera poi, la sorpresa e il suo ingresso. I complimenti per il design del nostro ristorante e per i quadri alle nostre pareti, ma soprattutto per i nostri piatti. Per il nostro risotto con le sarde, che scelse di ordinare personalmente dal menù per vedere come i siciliani fanno il risotto”. E i paccheri con pistacchio e gamberi e gli spaghetti con ricci di mare, “che assaggiò dai suoi ospiti, e il cannolo, di cui rimase entusiasta. Poi la foto insieme e le strette di mano con tutto il nostro staff di cucina. Una persona di gran garbo e gentilezza”.
Mangiare bene, bere meglio. Per sé e per gli amici. Come quando, mentre era presidente del Consiglio, ordinò a Meregalli, leader mondiale nella distribuzione di vini, 12 bottiglie di Chateau Lafitte da mandare a un collega speciale: Vladimir Putin.
Col cibo si possono dire tante cose. Anno 1987. Berlusconi appena sbarcato al Milan compra l’argentino Claudio Borghi, ma si rivela un flop. Chiuso da Van Basten e Gullit (all'epoca si potevano tesserare solo due stranieri), viene spedito in prestito a Como, ma con l'allenatore dei lariani, il toscanaccio di Piombino Aldo Agroppi, sta sempre in panchina. Allora Berlusconi invita il tecnico ad Arcore: Agroppi si frega le mani. Chissà che pranzo, chissà se finirà lì, ma a tavola, nonostante il bendidio in dispensa fatto arrivare da Monza, Silvio fa servire solo tonno e insalata. E agli sguardi scorati di Agroppi, sorride: prima il lavoro e magari Borghi. Raccontano gli annali che il Como a fine stagione si salvò, ma non con Agroppi. Il tecnico era già stato esonerato. Borghi tornò al Milan, ma Sacchi preferì che al suo posto che gli prendessero un certo Rijkaard