Ornago (Monza Brianza), 23 maggio 2018 - «Non ha mai parlato dell’omicidio. Quando uscì dal carcere era come un cavallino che ha ritrovato la prateria. Voleva correre, vivere. Aveva talento». Enrico Galbusera, costruttore vimercatese 77enne, democristiano di lungo corso, è l’uomo che diede una chance a Giuseppe Malaspina. Il tycoon di Oreno trapiantato dalla Calabria, arrivato nel piccolo borgo del Vimercatese, in Brianza, dopo 14 anni d’anni in cella per l’omicidio di Giuseppe Zampaglione, a Muggiò nel 1972. Un parente che aveva fatto uno sgarro. «Roba di famiglia», taglia corto l’imprenditore che «ci mise la firma». «Mi impegnai con il Tribunale ad assumerlo e non me ne sono mai pentito. Giuseppe per me era come un figlio». «Affabile, intelligente, generoso». «L’ho inventato io». «Frequentavo l’oratorio, parliamo di 40 anni fa. Fu in quell’ambiente che mi chiesero di dare una chance a un giovane che aveva sbagliato. Era lui. Non l’ho mai giudicato». I due diventano inseparabili, «gli ho insegnato tutto. Ma erano anni in cui il mattone rendeva. Ce l’avrebbe fatta anche un somaro, ma non era il suo caso».
Malaspina in carcere si era messo a studiare conquistando l’agognato pezzo di carta: geometra, come il suo mentore. Dopo gli inizi spicca il volo, ma via via che l’impero prende forma si allontana dal maestro. «Tanti soldi possono dare alla testa», dice dispiaciuto il vecchio amico. Quattordici anni fa il legame fra i due si incrina. «Lo avvisai: Giuseppe il vento sta cambiando, ma lui mi trattò come un vecchio arnese che non sa più fiutare l’aria». «Tre anni dopo mi disse: avevi ragione. Ma era troppo tardi». «So perché non mi voleva più vicino: ero come il grillo parlante per Pinocchio. La voce della sua coscienza». Prima che il figlioccio approdasse nella sontuosa villa di Arcore, i due avevano condiviso pure una bifamiliare in città. Sono gli anni in cui Malaspina si offre di ristrutturare a sue spese il Capitol, lo storico cinema di casa cancellato dai multisala. Vuole però che il suo mecenatismo sia riconosciuto da una targa all’ingresso del palazzetto liberty. La giunta di centrosinistra declina. Un gesto che racconta molto della sua voglia di riscatto. Come l’ultimo, di neanche due settimane fa. Mentre sta progettando di fare sparire le carte che certificano la deriva illegale si sfoga per strada con un conoscente: «Le banche mi hanno rovinato».
Un insulto per lui che chiamava «pistola» il libretto degli assegni, «l’arma, in senso metaforico ovviamente, con cui si era lasciato alle spalle gli errori di gioventù», ricorda Galbusera. «Aveva il bernoccolo degli affari e i numeri per diventare uno degli imprenditori più importanti della Lombardia. La sua rovina? Quella mentalità familiare che nonostante il successo si porta addosso e con cui non ha mai reciso il cordone ombelicale».