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Tarantasio, il mitico drago del lago Gerundo, la leggenda raccontata dai poeti

Un mito antico, risalente al 1100, racconta di un drago chiamato Tarantasio che viveva nel lago Gerundo. Leggende, affreschi e reliquie testimoniano la sua esistenza, e la sua storia ha ispirato anche lo stemma dei Visconti. Una storia che ha radici nella preistoria, quando i dinosauri popolavano la Lombardia.

Tarantasio, il mitico drago del lago Gerundo, la leggenda raccontata dai poeti

di Dario Crippa

"Ove col fiato o con la spoglia toccaSecca piante, erbe aduggia il serpe infameNe la vorace e cavernosa boccaRegna di larga strage ingorda fameTriplice lingua infra gran denti scoccaDi sangue uman con sitibonde brameE qual re de’ portenti, in su la testaHa fra due lunghe corna aurata cresta".

Milleseicento e cinquanta.

Il poeta Filiberto Villani prova a raccontare così una leggenda che ammanta le terre che si stendono a due passi dalla Brianza, fra il letto del fiume Adda e quello del Serio.

Una volta la Lombardia era coperta dalle acque dove pare sorgesse uno specchio d’acqua gigantesco e malsano, denominato lago Gerundo.

Lo raccontano fior di studiosi e geologi.

Che ci hanno anche ritrovato disseminate le tracce delle creature che vivevano al suo interno. Ossa, probabilmente appartenute a dinosauri, ma nel Mito diventarono agli occhi della gente semplice quelle di draghi e altre creature mostruose.

Come Tarantasio. Un drago leggendario, feroce e dall’alito pestilenziale, che rovesciava le imbarcazioni e che secondo i racconti popolari, di quelli che si tramandavano seduti attorno a un fuoco nelle lunghe serate d’inverno, non poteva nutrirsi di altro che di bambini.

Molte le leggende sorte per raccontare l’avvento di questo animale mitologico. Secondo una di queste storie, Tarantasio sarebbe sorto dalle carni putrefatte di Ezzelino III da Romano detto il Terribile, feroce condottiero di stirpe germanica citato persino da Dante Alighieri, che non poteva che collocarlo all’Inferno (Canto XII, girone dei violenti contro il prossimo), immerso in un fiume di quel sangue da lui stesso versato nella sua esecrabile vita. Ma Tarantasio merita un posto nella storia anche per quanto riguarda la sua fine. Secondo alcune fonti, a ucciderlo sarebbe stato San Colombano, che oltre che come religioso passò alla storia anche nelle vesti di uccisore di draghi. Secondo altre fonti però la morte di Tarantasio si dovrebbe a Federico Barbarossa, ex re d’Italia ma soprattutto imperatore del Sacro Romano Impero.

O al nobile Uberto Visconti. Proprio da questa leggendaria uccisione avrebbe tratto spunto il simbolo della sua casata, il famoso Biscione (che divora un bambino) che da sempre contrassegna la famiglia dei Visconti e la città di Milano.

E di qui aziende come l’Alfa Romeo, la Fininvest e la squadra di calcio dell’Inter.

La leggenda del drago del lago Gerundo fu fonte di ispirazione anche per lo scultore Luigi Broggini, che prese a modello Tarantasio per ideare l’immagine del cane a sei zampe, marchio simbolo dell’Agip prima e dell’Eni poi.[1][1]

La leggenda più antica a menzionare Tarantasio risale addirittura al 1.100, e al monaco Sabbio, che nelle memorie dedicate alla città di Lodi racconta: "creatura serpentiforme, la testa enorme con grandi corna e coda e zampe palmate, sputava fuoco dalla bocca e fumo dal naso... come un drago, nuotava nelle acque del Gerondo, si nutriva soprattutto di carne di bambini e di uomini e appena vedeva una barca vi si gettava contro fracassandola. Il suo stesso fiato provocava pestilenze e faceva morire le donne di febbri".

Un mosaico dell’XI secolo conservato nell’abbazia di San Colombano a Bobbio, nel Piacentino, rappresenterebbe la più antica rappresentazione del drago Tarantasio.

Ma il lago Gerundo, come si diceva, si estendeva fino alle pendici della Brianza, e non è un caso che un altro affresco raffiguri il medesimo drago sempre nell’XI secolo anche nell’abazia di San Pietro al Monte di Civate, in provincia di Lecco.

Un riferimento esplicito alla leggenda di Tarantasio si trova poi in un affresco nel chiostro della chiesa di San Marco a Milano (XIII-XIV secolo) con addirittura il lago Gerundo sullo sfondo.

Altre raffigurazioni di Tarantasio comparirebbero anche in un affresco del XIV secolo nella chiesa di San Giorgio di Lemine ad Almenno San Bartolomeo, in provincia di Bergamo, dove è conservata una presunta reliquia del mostro.

Ma oltre all’arte c’è anche una traccia “concreta” del drago.

Pare che lo scheletro intero del drago fosse conservato fino al XVIII secolo nella chiesa di Sant’Andrea a Lodi, mentre una sua costola sarebbe rimasta sino all’epoca napoleonica in alcune chiese, nel Lodigiano, nel Cremonese, nella Bergamasca.

E il pensiero, per ritrovamenti e reliquie simili, non può che correre all’epoca dei dinosauri. E a quella in particolare dei mamuth, a cui apparterrebbero secondo alcuni studiosi le tracce di queste ossa.