
Cavalieri Templari
Concorezzo (Monza), 21 marzo 2021 - "I Templari arrestati furono sottoposti a lunghi interrogatori, accompagnati dai supplizi della tortura. Molti di essi, atterriti e stremati dalla lunga prigionia, dalla fame e dai lunghi tormenti sofferti, si confessarono rei dei delitti loro imputati, cioè: di aver rinnegato Cristo, di avere sputato tre volte sulla Croce; di baci disonesti e di sodomia; di essersi fatti assolvere dal Gran Maestro di tutte le infamie da loro commesse. Alcuni storici credono alla verità di queste accuse; altri le pongono in dubbio; altri infine le negano recisamente". Così scriveva nel 1904 Licurgo Cappelletti nella sua “Storia degli ordini cavallereschi".
È il 1307 quando Filippo il Bello, sovrano di Francia, fa partire la più grande campagna di distruzione della sua epoca, ordinando di arrestare centinaia di appartenenti a uno dei più noti ordini religiosi cavallereschi cristiani medievali, i Pauperes commilitones Christi templique Salomonis (“Poveri compagni d’armi di Cristo e del tempio di Salomone”), meglio noti come cavalieri Templari. Un’operazione preparata da tempo e che ha come obiettivo finale quello di distruggere un ordine antichissimo, fondato nel 1119, che da un lato aveva acquisito un potere enorme e minaccioso, e dall’altro aveva accumulato beni preziosi come terre, mansi, case, tesori, denaro, che avrebbero rimpinguato le casse sempre più in sofferenza della dispendiosa Corte di Francia. Per distruggere i Templari, re Filippo costruisce un castello di accuse e menzogne. Molte delle leggende nere legate ai Templari, sopravvissute fino a noi, nascono così.
Negli anni cupi dei processi messi in piedi dall’Inquisizione, si staglia la figura di un personaggio legato alla Brianza. Si chiama Rainaldo da Concorezzo, ed è arcivescovo di Ravenna quando viene incaricato direttamente Papa Clemente V di istruire processi nel Nord Italia. Rainaldo, che è fine giurista e uomo di comprovata fede, interroga personalmente decine di Templari e scandaglia il loro operato con occhio profondamente critico. Il processo ai Poveri Commilitoni a cui prende parte, iniziato nell’agosto del 1308 e sfociato nel Concilio ravennate del 21 giugno 1311 per l’area settentrionale d’Italia, si conclude però con una sentenza del tutto inaspettata: l’assoluzione con formula piena della Militia Templi.
In quella sentenza Rainaldo da Concorezzo fa qualcosa di eccezionale, coraggioso e forse temerario: non solo assolve tutti, ma per la prima volta contesta ogni forma di tortura, di pressione psicologica e mezzi processuali iniqui e violenti, proponendo per contro l’adozione della carità e dell’umanità. Rainaldo condanna l’utilizzo della tortura per estorcere le confessioni degli indagati, metodo invece raccomandato di fare lo stesso Pontefice. Con un criterio che sembra arrivare, invece che dal XIV secolo, dritto dritto dal futuro, dalla Rivoluzione Francese, dall’Illuminismo ancora là da venire o da personaggi del calibro di Cesare Beccaria.
Rainaldo da Concorezzo era nato intorno alla metà del XIII secolo da un’illustre famiglia – i da Concorezzo – nota per aver dato i natali a esperti giuristi. Rainaldo aveva compiuto lui stesso studi giuridici all’Università di Bologna e si era ritrovato già nel 1286 a ricoprire la carica di magister legis a Lodi. Entrato nel seguito del Cardinale Benedetto Caetani, nipote di papa Bonifacio VIII, aveva iniziato una luminosa carriera che lo aveva portato a entrare nell’entourage vaticano, a divenire maestro di legge, suddiacono e cappellano pontificio, commensale domestico della Santa Sede (vale a dire sedeva a tavola col pontefice e con i sovrani!), cappellano del cardinale Benedetto e canonico laudunense e di San Martino di Bollate.
Nominato nel 1298 Nunzio Speciale per la Francia, era stato inviato per alcune delicate missioni diplomatiche, concluse tutte con successo. Nel marzo del 1300, ormai stremato, Rainaldo chiede a papa Bonifacio VIII di rimpatriare. Alla morte di papa Bonifacio VIII, il nuovo pontefice Benedetto XI il 19 novembre 1303 lo sceglie come nuovo arcivescovo di Ravenna. Il papato di Benedetto dura pochi mesi e si assiste all’elezione di un nuovo pontefice: Bertrand de Got, che assume il nome di Clemente V. Si giunge alla causa contro i Templari. Nella bolla papale “Faciens Misericordiam” papa Clemente incarica i vescovi di tutte le Diocesi di apprestarsi a iniziare il processo alla Militia Templi e a ciascun cavaliere templare. Emana le direttive per procedere all’arresto e al processo in tutta Europa di tutti i Templari. Il pontefice specifica anche le metodologie dell’iter processuale, che comprendono la tortura e l’indizione di concili provinciali nei quali i vescovi devono scegliere per l’assoluzione o la condanna dei singoli imputati, fermo restando che alla fine gli atti dei processi sarebbero stati trasmessi in Vaticano. Esercitando quindi una pressione non indifferente. E quando si rende conto che non sempre le sentenze si uniformano ai propri desideri, il pontefice nel 1311 chiede ai vescovi toscani, a quello di Cremona e a quello di Ravenna di ripetere gli interrogatori e di strappare le confessioni. L’invito del Pontefice viene raccolto dai vescovi toscani, rimane invece inascoltato da Rainaldo, più che mai convinto dell’innocenza dei Templari. Come due dei Milites Templi da lui personalmente interrogati, che dichiararono apertamente che "i Templari spaventati dalla tortura, hanno deposto spesso il falso". Nel 1312 al Concilio di Vienne nonostante il parere contrario o comunque dubbioso di parecchi vescovimitaliani, il Pontefice decreta l’abolizione dell’Ordine dei Templari.
L’ordine militare più antico di tutta la Cristianità finisce così. La storia doveva volgere in un’altra direzione. E Rainaldo da Concorezzo non poteva farci niente. Come andrà a finire, è noto. La figura di Rainaldo da Concorezzo esce comunque vittoriosa: dopo la sua morte il 18 agosto 1321 viene subito riconosciuto Beato. La sua riscoperta è merito di uno studioso monzese, il Cavaliere Alessio Varisco, intellettuale, bibliomane e autore di numerosissimi libri fra i quali uno – I Templari nell’alta Lombardia (Effigi Editore) –, ricostruisce proprio la vicenda di Rainaldo da Concorezzo. Riportiamo, come nel libro di Varisco, la lapide commemorativa che sorgeva nell’area verde limitrofa alla cattedrale di Ravenna: "Questo giardino è dedicato alla memoria dell’Arcivescovo Rinaldo da Concorezzo (1250 c. - 1321) che governò la Chiesa ravennate negli anni in cui qui presso Dante scriveva il Paradiso e che nel processo ai Templari fu giudice libero ed umano".