
Tra lusso e tradizione "Nonna e zia le mie maestre Perché la cucina è sostanza"
di Paolo Galliani
Quella domanda così poco incoraggiante che a 12-13 anni si sentiva fare da amici e parenti se la ricorda ancora. "Che diavolo di lavoro è?", chiedevano. Paolo Scaccabarozzi sorride: "Avevo detto a tutti che da grande avrei voluto fare il cuoco. Forse perché collegavo lo stato di felicità con i cannoncini che mia zia Teresa mi faceva assaggiare nella sua pasticceria a Meda o con i manicaretti di nonna Piera che la domenica portava in tavola uno strepitoso risotto con l’osso buco". Predestinato. Doveva essersi arreso anche papà Giorgio che gestiva una falegnameria e che spesso invitava il giovane figlio in ditta sperando forse di convertirlo all’arte nobile dei “legnamee“. Tant’è. Nella vita bisogna seguire la strada che si desidera. Insomma, Paolo avrebbe fatto lo chef. Prima la scuola alberghiera in quel di Sondalo, in Valtellina. Poi una serie infinita di stage ed esperienze tra Italia, Francia, Usa e Svizzera. E, approdo finale, Milano, a firmare la cucina di locali importanti. Otto lunghi anni a curare la ristorazione dell’Hotel Cavalieri. E adesso l’incarico di executive chef al ristorante “Sfizio“ della centralissima piazza Fontana, locale di prestigio del Rosa Grand, albergo iconico del Gruppo Starhotels con invidiabile affaccio sulle guglie del Duomo. Come dire: tanta roba. Anche per questo 40enne nato e cresciuto a Meda deciso a dimostrare che la strada scelta già in tenera età era stata quella giusta.
Certamente più piacevole di quella - intasatissima - che tutte le sante mattine Paolo deve affrontare per raggiungere la metropoli e organizzare un’offerta gastronomica degna del ruolo che ricopre. Ed è illuminante incontrarlo sul posto di lavoro. Per contare i tanti “grazie“ che questo talentuoso cuoco brianzolo sente ancora oggi il dovere di esprimere a chi lo ha valorizzato (su tutti, Sergio Mei che a suo tempo lo aveva accolto al “Four Seasons“). Ma anche per decifrare il guardaroba mentale che lo contraddistingue: grande voglia di fare, idiosincrasia per la retorica autocelebrativa. E la tendenza a non essere mai del tutto contento, "perché – spiega – si può sempre fare meglio e considerarsi arrivati è una sciocchezza". Difficile dargli torto. Anche se a pochi mesi dal suo arrivo allo “Sfizio“, lo chef medese sembra avere già fatto breccia tra i buongustai meneghini e stranieri: cucina gourmet, ma priva di quegli eccessi estetici e stilistici che finiscono per ridurre pranzo e cena ad un’esperienza più di apparenza che di sostanza. Paolo lo ripete: "Non devo stupire l’ospite: devo farlo stare bene. E se ha un buon appetito, devo soddisfarlo". Parole sacrosante, coerenti con i piatti che sembrano meglio rappresentarlo: la curiosa “pasta risottata al cacciucco“, il “vitello tonnato“ con cottura mista dei due ingredienti principali come faceva Gualtiero Marchesi, e il filetto macerato nel burro chiarificato con carote e tartufo. I riscontri? Abbondano. E rendono più sopportabili gli orari un po’ stakanovisti che gli chef notoriamente devono sopportare. Compensati nel tempo libero, quando a riattivare il buon umore ci pensa la casa di via Cremona dove abita con le sue amate donne (la moglie Francesca e le figlie Giorgia, Matilde e Anita), "in una Meda – parole sue – piacevolmente provinciale, ma dove c’è tutto quello che serve: il verde, i rapporti di buon vicinato, la presenza di eccellenze del design e del Made in Italy in una quantità che nessun’altra cittadina vicina può vantare".
Considerazione maliziosa: "Terra elettiva per lavorare, non propriamente per mangiare bene". Ma lo chef confida che almeno due volte l’anno con la moglie Francesca va a cenare al Pomiroeu di Seregno, "perché – ripete – in cucina c’è Giancarlo Morelli che è il numero uno". Incorreggibile Paolo. Severo con sé stesso, generoso con gli altri. Diavolo di un brianzolo.