Anno 1976. Estate. Un giornale locale (L’Eco di Monza) titola orgoglioso: “Monza esporta anche i dirigenti”. Corredato dalla fotografia di un uomo sorridente con i capelli corvini. Quell’uomo si chiama Felice Colombo, ha 39 anni, e ha appena preso una decisione che avrebbe cambiato il corso della sua vita e della sua famiglia. E forse, a distanza di decenni, anche quello di migliaia di tifosi e appassionati di “fulbar“ brianzolo. Ma procediamo con ordine. Nel mercato del calcio nazionale il Monza si era già distinto in diverse occasioni per aver ceduto – per ragioni di bilancio si intende – i propri giocatori più promettenti alle grandi società del calcio. La piazza monzese aveva l’innegabile orgoglio ad esempio di aver visto fare le prime esperienze tra le proprie fila a personaggi destinati a sfondare nel grande calcio: Annibale Frossi, il dottor Sottile, già giocatore dell’Italia medaglia d’oro ai Giochi olimpici del 1936 con Vittorio Pozzo, aveva fatto le prime esperienze come allenatore proprio con i biancorossi che aveva portato per la prima volta in Serie B prima di approdare nel grande calcio con la sua Inter.
Gigi Radice da Cesano Maderno, terzino di grande corsa e talento, aveva riscaldato i cuori biancorossi qualche più tardi firmando la promozione in Serie B nel 1967, praticamente all’esordio in panchina, prima di approdare al Torino dove avrebbe vinto l’unico scudetto conquistato dai granata dopo Superga. E in Brianza si erano visti crescere talenti del calibro di Claudio e Patrizio Sala o il portiere Luciano Castellini, tutti accomunati un giorno proprio dallo scudetto col Torino di Radice. Del tutto inedito fino a quel momento era invece vedere anche un dirigente sciacquare prima i panni nel Lambro per poi approdare a un grande club, come sarebbe accaduto qualche anno dopo ad esempio ad Adriano Galliani col Milan di Silvio Berlusconi. Nel 1976 il primo a migrare a Milano per fare la storia è però un altro dirigente. Felice Colombo da Bellusco. Nel 1976 proprio lui ricopriva il ruolo di vicepresidente del Monza quando arrivò la chiamata – a cui non si poteva dire di no – del Milan.
Il giovane industriale di Bellusco annunciò ai giornali: "Mi dispiace lasciare il Monza proprio adesso, mi sono sempre divertito a seguirlo in C, figurarsi adesso che avrei potuto godermelo nella serie superiore". Il Monza del giovane Alfredo Magni aveva appena conquistato la promozione in B – dopo 3 anni di attesa – con un ruolino di marcia fatto di 17 vittorie, un pareggio e una sola sconfitta. Due giocatori in doppia cifra (Sanseverino e Tosetto), una coppa Italia di Serie C sfuggita in finale col Lecce, la coppa Anglo-Italiana col Wimbledon. Insomma c’era tutto – come poi avvenne – per tentare il doppio salto fino alla Serie A, che sarebbe invece sfuggito poi per un soffio al presidente Giovanni Cappelletti. "Ma io ormai ho scelto - chiosava in quell’estate Colombo - vado al Milan. Ho ceduto alle insistenze di un amico, il presidente rossonero Vittorio Duina, ed entrerò a far parte del consiglio direttivo della società milanese. Mi auguro che il Milan giochi fuori casa quando il Monza è in casa, per aver modo di vedere ancora qualche volta la squadra biancorossa alla quale sono legati alcuni fra i miei ricordi calcistici più belli".
Colombo, che si occupava dello stampaggio di materie plastiche e che in seguito si espanse nel settore sanitario e radio-televisivo, entra quasi in punta di piedi nella nuova realtà milanese ma si ritrova quasi a sorpresa a divenirne addirittura il nuovo presidente. Duina molla infatti presto e a Colombo non resta altro che prendere il Milan nelle sue mani. Tre anni travolgenti: lo scudetto della stella, l’orgoglio di aver lanciato in pianta stabile al fianco dell’ultimo Rivera anche giovani di talento come Novellino e, portati proprio dal Monza, Buriani, De Vecchi e Tosetto. In panchina viene scelto e lanciato anche un certo Nils Liedholm. Poi le cose precipitano dopo l’inciampo del calcio scommesse, a cui Colombo si è sempre detto estraneo.
Arriva anche la squalifica. Dopo l’amnistia post Mondiali del 1982, Felice Colombo non rientra più nel calcio e si avvia a cedere il club. Ma la sua famiglia, in quel mondo, ci rienterà. Il figlio Nicola, nel 2015, decide di rilevare il Monza uscito da un fallimento, ne ripiana i conti e lo riporta fino alla C. L’uomo del destino è però ancora una volta papà Felice. Nel 2018, è lui a ricevere la telefonata di Silvio Berlusconi e Adriano Galliani che gli annunciano l’intenzione di acquistare il Monza. Se oggi, i biancorossi sono in Serie A per la prima volta in 110 anni di storia, lo si deve ovviamente a Berlusconi ma, almeno un pezzettino, alla famiglia Colombo. E ad Adriano Galliani, un altro grande dirigente di calcio partito da Monza (ne fu vicepresidente per due anni negli anni Ottanta) prima di fare fortuna con il Milan. E tornare a Monza per portarlo in A per la prima volta nella sua storia. Peccato che il progetto sembri destinato ora a una fine ingloriosa. Ma questa è un’altra storia...