REDAZIONE MONZA BRIANZA

Un piccolo mondo antico all’ombra di due cascine

Il primo nucleo abitativo risale al 1200 con l’arrivo della famiglia Bastoni. Nei secoli fu diviso tra i Comuni vicini, ma nel 1935 Mussolinì lo legò a Monza

Un fazzoletto di terra, 2.400 abitanti, in un tempo sospeso affezionato a un piccolo mondo antico, raccontato dal suo storico. È Enrico Sangalli, tecnico di Pirelli e poi Montedison che insieme al Gruppo antiche memorie ha ricercato documenti e scritto libri che ripercorrono la storia del quartiere che prende il nome da un’antica cappella scomparsa, intitolata a Sant’Albino D’Angers.

Il primo nucleo abitativo risale a due cascine: Bastoni e Sant’Albino, citate in una pergamenta del 1293, riguardante i terreni di proprietà del monastero di Sant’Ambrogio. Enrico Sangalli racconta appassionato la storia della famiglia Bastoni: "Non conosciamo la loro provenienza – dice – ma è ragionevole pensare che siano arrivati a seguito di due provvedimenti milanesi del 1275 e 1282, di Napo Della Torre, signore di Milano che richiamò i dispersi di Lombardia e Venezie a causa di lotte interne della Repubblica Milanese. I Bastoni potrebbero essersi accodati al movimento migratorio, per lucrare qualche vantaggio fiscale. Le cascine erano abitate da braccianti che si curavano dei terreni, mentre i proprietari abitavano a Monza".

Il primo consiglio comunale monzese risale al 4 gennaio 1311, ne facevano parte tre componenti della famiglia Bastoni, più altri membri delle famiglie potenti monzesi, Rabia, Aliprandi, Pelucco, Scotti e Belloni. Nei secoli il borgo fu smembrato tra i comuni di Concorezzo, Agrate e Brugherio, nel 1935 venne aggregato a Monza con decreto di Mussolini. Negli anni ‘50 si ipotizzava la costituzione di un comune di Sant’Albino e San Damiano, ma il borgo confinante non produsse i documenti necessari e quindi non se ne fece nulla. Oggi le cascine Bastoni rientrano nel comune di Monza e Sant’Albino è frammentata tra Monza e Brugherio: dalla fine dell’’800, via Sant’Albino divide il nucleo abitativo tra i due comuni.

Ricorda il quartiere Sant’Albino anche Giorgio Riva, classe 1948, erede della famiglia Riva a Sant’Albino dal 1700, presidente dell’Enpa. Il borgo della sua infanzia era popolato da prati e campi: "Uscivamo al mattino a giocare e rientravamo la sera. I nostri genitori non sapevano mai dove fossimo". Un mondo agreste in cui d’estate non si usavano le scarpe, per risparmiarle per la brutta stagione; dove c’erano tante osterie, le mucche e i cavalli che entravano nei cortili. C’era la scuola elementare Manzoni, ancora oggi attiva; poco lontano passava la roggia Gallarana che irrigava i campi e dove le donne andavano a fare il bucato, in via Mameli, proprio vicino alla scuola.

Riva ricorda anche i racconti dei genitori, risalenti agli anni ‘20 e ‘30, quando ancora funzionava il Mulino Mambretti che muoveva le macchine meccaniche delle tessiture e dei filatoi. "All’inizio i miei avi erano contadini nei terreni dell’ente comunale assistenza – ricorda Giorgio – poi il mio bisnonno Demetrio cominciò a vendere stoffe, passando con il carretto nei cortili, fino a creare l’azienda di tessuti e corredi Fratelli Riva".

Dagli anni ‘60 è cambiato tutto, con il boom economico che ha fatto a poco a poco sparire il volto agricolo del borgo. Non c’erano case, tranne poche corti contadine, quindi è cominciato il grande boom edilizio per rispondere alla prima ondata migratoria dalle regioni più povere d’Italia.

Cristina Bertolini