
L’imprenditore rampante aveva appena acquistato San Martino e la sera prima di Sant’Ambrogio ci organizzò un ricevimento. Un commando provò a rapire uno dei suoi invitati ma si fece catturare.
Il gusto per le cene raffinate accompagna spesso chi vuole farsi apprezzare in un ambiente nuovo in cui sta muovendo i suoi primi passi. E di certo quel erano le prime occasioni in cui un nuovo, rampante imprenditore edile milanese di 37 anni si faceva conoscere nell’alta società in cui ambiva di entrare approfittando anche della sua nuova, grandiosa villa appena acquistata a prezzi stracciati alle porte di Monza.
Si chiamava Villa San Martino e poteva contare su una pinacoteca, una biblioteca di diecimila volumi, arredi eleganti e un parco con scuderia. E sarebbe stata oltremodo restaurata e arricchita negli anni successivi.
Non sono anni facili però, quelli. In Lombardia, e pure in Brianza, da qualche tempo impazza la cosiddetta Anonima Sequestri. Industriali e imprenditori, con le loro famiglie e rampolli, sono nel mirino.
Accade dunque che anche la splendida villa di Arcore appena acquistata da Silvio Berlusconi per farne la capitale del suo impero si trovi immediatamente al centro di due tentativi di sequestro ai danni dei suoi ospiti.
Del secondo, avvenuto qualche tempo più tardi ai danni dell’imprenditore dolciario Egidio Perfetti, il re delle chewing gum, e che verrà sventato sul nascere dai carabinieri, non parleremo stavolta, ma ci soffermeremo invece sul primo episodio.
È la notte fra il 6 e il 7 dicembre del 1974. Villa San Martino ha appunto appena cambiato padrone. A Milano si stanno per celebrare Sant’Ambrogio, il patrono, e la “prima“ della Scala. In Brianza, alla vigilia, Berlusconi ne approfitta per anticipare tutti e organizzare una grande festa alla quale partecipano diversi nomi noti. Fra questi c’è il principe Luigi D’Angerio di Sant’Agata, ha 65 anni, ed è (sedicente) esponente dell’antica nobiltà napoletana, anche se i suoi titoli verranno in seguito messi in dubbio. Ma questa è un’altra storia.
All’uscita da Villa San Martino, alle 2 del mattino, sulla sua Autobianchi “A 112” guidata dal figlio Alfredo, 33 anni, e con a fianco la moglie Giuseppina Ornago, si avventa un’Alfa Romeo 2000 che la costringe a fermarsi a margine della strada. Ne scendono tre uomini, due di loro sono armati di pistola e fucile a canne mozze. Per fuggire il figlio ingrana la retromarcia, ma evidentemente la possibilità è stata prevista anche dal commando criminale, perché un’altra Alfa Romeo sbuca dal buio e la tampona violentemente.
E quando il figlio disperatamente cerca di mettere la prima per provare ad allontanarsi, i due uomini armati esplodono alcuni colpi intimandogli di fermarsi.
I banditi spalancano la portiera e puntano il principe, trascinandolo per il bavero del cappotto fino a una delle due Alfa, gli infilano in testa un cappuccio e ripartono a tutta velocità. Siamo all’altezza di Villasanta e la macchina si dirige verso il centro di Monza.
Arrivata in piazza Trento e Trieste, sfreccia a forte velocità davanti a una Giulia dei carabinieri. Che, ritenendo di trovarsi di fronte a dei ladri d’auto, provano a inseguirli.
Non ci riusciranno, perché complice la forte nebbia l’Alfa dei banditi svanisce facendo perdere le proprie tracce.
Siamo in via Cavallotti quando i banditi, giunti all’altezza dell’incrocio con viale Lombardia, commettono però un errore: la nebbia è davvero fitta, come accadeva ancora fino a qualche tempo fa, e non si vede a un palmo di naso. E infatti i banditi non si accorgono dell’aiuola spartitraffico all’incrocio col viale e la centrano in pieno distruggendo la propria macchina.
È la fortuna del principe. Trascinato giù dalla macchina incolume, riesce ad approfittare della situazione per dileguarsi, mentre i tre banditi svaniscono anche loro nel nulla. O meglio, per la precisione: giunti alla recinzione di un palazzo che si affaccia su viale Lombardia, decidono di scavalcarla per proseguire la fuga e invitano il loro prigioniero a fare altrettanto.
Ma il principe, come racconterà lui stesso al processo, risponde: "Col cavolo!". E scappa a piedi. Incontrata una macchina dei carabinieri, la ferma, racconta tutto e si fa portare alla caserma di Villasanta. Qui ad attenderlo a braccia aperte ci sono moglie e figlio, che dopo il rapimento avevano bussato alla porta di una casa in via Leonardo da Vinci a Villasanta e avevano chiamato i carabinieri mettendoli al corrente di quanto accaduto.
Uno strano tentativo di sequestro, tutto sommato (si dirà che l’Anonima Sequestri aveva fra i suoi obiettivi i familiari dello stesso Berlusconi e stava solo facendo le prove). Senza dubbio un po’ maldestro, anche perché il principe racconterà in seguito ai carabinieri di non avere i soldi necessari a pagare un eventuale riscatto, dato che a Milano, dove viveva, aveva giusto due o tre case, che anche se messe in vendita non gli avrebbero fruttato più di qualche centinaio di milioni di lire.
Nella fuga, uno dei banditi aveva perso però una patente di guida con il proprio volto impresso sulla fotografia anche se il documento era intestato a un nome inesistente.
Sono i carabinieri a ritrovarla. Dopo un processo durato un paio di anni i tre banditi, tutti siciliani, tutti legati alla mafia, vengono condannati su richiesta del pubblico ministero di Monza Giuseppe La Mattina.
Nel corso delle indagini emerge anche un nome inatteso: è quello di Vittorio Mangano, stalliere dal passato oscuro legato a doppio filo alla mafia e al servizio di Berlusconi nella sua nuova villa.
Si farà 28 giorni di carcere anche lui. Per poi tornare di nuovo al servizio di Berlusconi per qualche tempo. Ma anche questa, è un’altra storia.