MARCO GALVANI
Cronaca

Una speranza in più. Lotta alla leucemia: "Scoperte le proteine che beffano le terapie"

I ricercatori della Fondazione Tettamanti hanno individuato le molecole in grado di nutrire comunque le cellule maligne nonostante la chemio "Ora impariamo a neutralizzarle per migliorare l’efficacia dei trattamenti".

I ricercatori della Fondazione Tettamanti hanno individuato le molecole in grado di nutrire comunque le cellule maligne nonostante la chemio "Ora impariamo a neutralizzarle per migliorare l’efficacia dei trattamenti".

I ricercatori della Fondazione Tettamanti hanno individuato le molecole in grado di nutrire comunque le cellule maligne nonostante la chemio "Ora impariamo a neutralizzarle per migliorare l’efficacia dei trattamenti".

"Abbiamo individuato due “trasportatori“, indispensabili alle cellule leucemiche per espandersi ed essere protette dalla chemioterapia, che consentono loro di ricavare dall’ambiente circostante il nutrimento che non riescono a prodursi da sole. E nelle nostre colture cellulari in vitro abbiamo osservato che questa funzione è esercitata da due trasportatori che forniscono un passaggio attraverso le membrane delle cellule per gli aminoacidi. Ma due farmaci inibitori riescono a bloccare la loro importante funzione portando alla morte le cellule tumorali. Ora ulteriori studi potranno chiarire come sfruttare al meglio a livello terapeutico questa scoperta", la missione di Giovanna D’Amico, scienziata della Fondazione Tettamanti all’Irccs San Gerardo di Monza. In pratica, le proteine “contrabbandiere“ individuate possono rappresentare, in prospettiva, un nuovo bersaglio terapeutico in grado di migliorare l’efficacia della terapia. Questa nuova frontiera di cura è stata pubblicata dal British Journal of Haematology.

Lo studio si inserisce in un’attività di ricerca che la Fondazione Tettamanti porta avanti in modo specifico sul microambiente tumorale, ovvero l’ecosistema composto anche da cellule sane all’interno del quale proliferano le cellule maligne. La comprensione adeguata dell’interazione tra queste ultime e l’ambiente circostante è fondamentale per rendere più efficaci le cure. Tra le terapie per il trattamento della leucemia linfoblastica acuta c’è l’utilizzo dell’asparaginasi, un agente chemioterapico che priva le cellule malate dell’aminoacido asparagina e le porta alla morte. Tuttavia, la resistenza al farmaco che si registra in diversi casi è un segnale del fatto che le cellule maligne sono comunque in grado di procurarsi questo composto per loro vitale. "L’inibizione dell’attività dei due trasportatori chiave – sottolinea Giuseppe Taurino, borsista della Fondazione Veronesi nel laboratorio di patologia generale dell’università di Parma che ha partecipato alla ricerca – impedisce alle cellule leucemiche di internalizzare non soltanto l’asparagina presente normalmente nell’ambiente circostante, ma anche quella fornita specificamente al tumore dalle cellule mesenchimali stromali, impedendo in questo modo che queste cellule aiutino il tumore a resistere alla terapia".

Un ulteriore studio della Fondazione Tettamanti, pubblicato su Scientific Reports, fa un passo in avanti nell’analisi di questo aspetto. Studi precedenti svolti dal gruppo di D’Amico hanno dimostrato come una proteina chiamata ActivinA, prodotta anche dalle cellule mesenchimali stromali all’interno del microambiente leucemico, ha un ruolo nel favorire la crescita e l’aggressività delle stesse cellule leucemiche sia in vitro sia in vivo. La comunicazione tra le cellule avviene anche mediante la produzione di vescicole extracellulari, piccole sfere che contengono porzioni di Dna e proteine conferendo alla cellula bersaglio nuove funzioni. "Grazie alla maggiore produzione di queste vescicole indotta da ActivinA – specifica Erica Dander, ricercatrice della Fondazione Tettamanti – le cellule maligne riescono a scambiarsi informazioni e a sopravvivere meglio in un ambiente a loro sfavorevole, a causa della mancanza di nutrienti".