DARIO CRIPPA
Cronaca

Quando a Monza cavalcavano gli Ussari

Un documento ritrovato dal collezionista Vittorio Rossin svela la presenza dei temibili soldati al soldo di Napoleone

Vittorio Rossin con il documento

MONZA Dario Crippa Un soldato “musicante”, di quelli che accompagnavano l’esercito battendo il ritmo e suonando, ha problemi a casa. Non si sa di quale natura, ma deve immediatamente abbandonare la truppa a Monza e dirigersi verso la propria abitazione, a Voghera. La sua richiesta di licenza – otto giorni – viene presa in seria considerazione e trova il consenso dei suoi superiori. Evidentemente, c’è qualcosa di serio in ballo. Da questo carteggio, avvenuto oltre duecento anni fa a Monza, e di cui è stata trovata traccia dal collezionista e appassionato di storia Vittorio Rossin, emerge una verità storica di cui finora non si era fatta menzione: a Monza cavalcavano gli Ussari, uno dei corpi più coraggiosi e temibili della cavalleria. Lo racconta un foglio, protocollato e scritto in elegante corsivo con tutti i crismi di un documento ufficiale, appena riemerso dal passato. La data riportata sotto l’intestazione – 26 maggio anno 1802 – toglie ogni dubbio su quando sia stato vergato. Per capire il contesto, basta osservare le parole che campeggiano in cima al documento, “Libertà” e “Uguaglianza”. Sotto compare l’unica parte in stampatello, con la dicitura: “Il Consiglio amministrativo. 1° Reggimento d’Usseri”. E, aggiunto a corsivo, “a Monza”. Testimonianza diretta appunto che a Monza era di stanza una guarnigione di un reparto militare con una lunga e affascinante storia: gli Ussari. Il termine, importato dal francese hussard , è in realtà di origine ungherese e affonda le radici alla metà del XVI secolo, quando per la prima volta si fa menzione di truppe di guerrieri fuoriusciti dalla Serbia e riparati nel Regno di Ungheria dopo la conquista delle loro terre da parte degli Ottomani. Per la precisione, quello menzionato nel documento monzese è il Primo Regiment of Hussards (primo reggimento d’Usseri) . Una veloce e leggera unità di cavalleria francese che era considerata "gli occhi e le orecchie delle truppe napoleoniche", dicono gli esperi. E fu proprio Napoleone, quando nel 1797 istituì in Italia la Repubblica Cisalpina, a rendersi conto che mancava un reparto di cavalleria adeguato su cui poter far conto. Per rimediare a questa pericolosa carenza, ordinò dunque che fossero arruolati 480 giovani di buona famiglia, in grado cioè di provvedere autonomamente, pagandolo di tasca propria, al proprio equipaggiamento. Il corpo di Ussari cisalpino venne diviso in 13 Compagnie, da Milano a Ferrara, da Bergamo a Bologna. Ottimi cavalieri e sciabolatori – beau sabreurs la dicitura in lingua francese – facevano parte a tutti gli effetti della Grande Armée, l’esercito dell’imperatore Napoleone Bonaparte, di cui quest’anno si ricorda il bicentenario della morte. Vestiti con sfavillanti uniformi che si dice riflettessero la loro spavalderia, avevano una divisa composta di un copricapo militare chiamato shako (le compagnie d’élite indossavano il colbacco), dolman (una giacca), pelliccia, una sacca detta “sabretache ”per la sciabola, calzoni e stivali all’ungherese, mentre in campagna indossavano calzoni con rinforzi in cuoio. Tatticamente erano utilizzati per la ricognizione al fine di mantenere i propri comandanti informati sui movimenti nemici. Ma anche per impedire al nemico di raccogliere le stesse informazioni sul versante opposto, oltre che di inseguire le truppe in fuga. Armati con sciabola, pistole e carabina, erano noti per il coraggio temerario, al punto di essere considerati quasi dei “suicidi” in battaglia. Si diceva all’epoca che un Ussaro che raggiungeva i 30 anni era da considerarsi un uomo molto fortunato. Vittorio Rossin, impegnato in questo periodo negli studi sulla villa di Balsamo nella quale visse il marchese e ministro deIl’Interno Ludovico di Breme, racconta: "È stato proprio facendo le mie ricerche che mi sono imbattuto in questo documento: sono importanti le firme che compaiono in calce e appartengono a diversi importanti ufficiali". Fra costoro vanno menzionati due pezzi da novanta: il comandante di brigata e futuro generale Pietro Luigi Viani (1754-1811) e, soprattutto, il suo aiutante, il comandante Giuseppe Joseph Lechi (1766-1836), destinato a diventare un personaggio di spicco, nominato generale da Napoleone dopo la battaglia di Marengo, giacobino e patriota italiano, temerario e spregiudicato. Ed è così che un documento che non sembra rivestire in realtà particolare importanza, dato che tratta banalmente di una richiesta di permesso avanzata da parte di un musicante in servizio nel reggimento “onde sistemare alcuni affari domestici”, si trova ad assumere un’importanza storica oggi proprio per quello che racconta fra le righe: e cioè che anche a Monza Napoleone e la Repubblica Cisalpina avevano stabilito un presidio dei temibili, coraggiosi, temerari Ussari.

«Monza era una piazza ricca dal punto di vista militare. Gli ussari? Piccoli e robusti: ce ne siamo resi conto allestendo una mostra con le loro divise e le loro armi incredibilmente pesanti». Lo spiega il colonnello Piero Sandoli, memoria storica delle Batterie a Cavallo e direttore storico museale dell’Associazione nazionale delle Volòire.