ALESSANDRO SALEMI
Cronaca

La via dei Longobardi, un cammino lungo 11 secoli dal Nord Europa a Monza: ecco l’eredità di Teodolinda

Il capoluogo della Brianza al centro dell’itinerario culturale che unisce sei Paesi. Inviata la candidatura per il riconoscimento ufficiale dall’apposito istituto in Lussemburgo

Il corteo storico nel centro di Monza che ogni anno rievoca le origini longobarde della città

Il corteo storico nel centro di Monza che ogni anno rievoca le origini longobarde della città

Monza – Monza punta a valorizzare di più la sua identità longobarda, e a vederne riconosciuto in Europa il portato storico-culturale, che ne fa una delle principali civiltà europee. L’obiettivo è far entrare la ‘Longobard ways across Europe’ (Le vie Longobarde attraverso l’Europa) - l’itinerario dei siti europei che conservano testimonianze longobarde, ideato nel 2005 dall’Associazione Longobardia - tra gli itinerari culturali europei, tramite l’approvazione dell’Istituto Centrale itinerari culturali europei del Lussemburgo (organo del Consiglio d’Europa).

Il Comune di Monza si impegna come città capofila a sostegno dell’Associazione Longobardia, consapevole di essere uno degli epicentri della cultura longobarda: fu, infatti, la città della prima regina longobarda, Teodolinda, la quale introdusse i Longobardi alla religione cattolica e fondò il Duomo, che oggi custodisce un Museo con un inestimabile patrimonio di reliquie e opere d’arte longobarde e l’importantissima Corona Ferrea, che ha saldato al suo interno, secondo la tradizione, uno dei chiodi della Crocifissione di Gesù.

Se l’itinerario longobardo venisse riconosciuto a livello istituzionale europeo, tutti i siti ne trarrebbero enormi benefici, grazie all’implementazione dei cluster (raggruppamenti territoriali omogenei) turistici, con la promozione di convegni scientifici, festival artistici, rievocazioni storiche, coinvolgimento delle imprese. E ancora un consolidamento della collaborazione interna tra le varie aree dell’itinerario longobardo, con cooperazioni e scambi tra scuole e Università, progetti Erasmus, collaborazioni museali, viaggi a tema, la possibilità di accedere a bandi regionali ed europei per ottenere finanziamenti. I requisiti per ottenere il riconoscimento europeo ci sono: l’itinerario longobardo vanta attualmente 6 Paesi europei coinvolti, quando ne basterebbe un minimo di 3, e un tema portante che è di fatto indiscutibilmente su scala europea.

Le ‘Longobard ways’ sono infatti suddivise in quattro macro aree europee, sulla scia dell’iter di spostamenti che guidarono la popolazione germanica: le terre dell’Elba (luogo d’origine, nell’area della Bassa Sassonia e di Amburgo), la macroarea dei Re (in Austria a Vienna e in altri piccoli siti, ma anche a Budapest e a Nova Gorica in Slovenia), le terre del Regno (in Italia settentrionale, con notevoli presenze soprattutto in Lombardia, Emilia-Romagna e Friuli, in cui grandissimo valore storico-artistico hanno i tesori di Cividale del Friuli) e le terre dei principati del centro-sud Italia (con importanti reperti in Toscana, a Spoleto, nei dintorni di Roma, e soprattutto in Campania: a Benevento, Capua e Salerno).

“L’Unesco ha riconosciuto la cultura longobarda come “primaria radice della cultura europea, poi sviluppata dai Carolingi“ – spiega Gian Battista Muzzi, presidente dell’Associazione Longobardia –, per aver prodotto, con il decisivo apporto di princípi cattolici, la progressiva fusione di tradizioni e culture germaniche, classiche greco-latine e bizantino orientali, arricchite da successivi influssi di culture slave e arabe". "L’iniziale presenza dei Longobardi – continua Muzzi – è documentata nella Germania del nord dal II-I secolo avanti Cristo. Dopo successivi spostamenti verso aree del centro-est Europa, arrivano in Italia nel 568 entrando dal Friuli. Nella nostra penisola si registrano due fasi: quella del Regno (dal 568 al 774 anno della conquista da parte dei Franchi di Carlo Magno) e quella dei principati indipendenti del Sud, protrattasi dal 774 al 1076 (con la conquista normanna di Salerno). Di loro conserviamo un patrimonio inestimabile – conclude lo studioso – fatto di manufatti, opere letterarie, ma anche di toponomastica, lessico, e memoria storica. Occorre ora valorizzare tutto questo a pieno".