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Mise online il video sexy di un'amica: condannato. Ora il processo va in scena a scuola

Portare in scena il processo della condanna del ragazzo che ha lanciato a luci rosse della pretendente quattordicenne per mettere in guardia i giovani sulle insidie per nulla virtuali dei social network di Stefania Totaro

Una persona al computer

di Stefania Totaro

Monza, 26 settembre 2014 - Portare in scena il processo della condanna del diciottenne che ha lanciato su Facebook e Youtube il video a luci rosse della pretendente quattordicenne per mettere in guardia i ragazzi sulle insidie per nulla virtuali dei social network. Una simulazione da svolgere non in un’aula di giustizia, ma proprio tra i banchi di scuola. L’iniziativa, che è già stata realizzata in un liceo per le scienze umane di Milano, mentre altre repliche sono già previste e programmabili nelle scuole che ne faranno richiesta anche in Brianza, è dell’avvocato Marco Baroncini di Milano. E non a caso perché il legale è davvero il difensore del diciottenne brianzolo condannato in primo grado dal Tribunale di Milano a 2 anni e 8 mesi di reclusione per induzione alla produzione e diffusione di materiale pornografico, pena scesa poi in appello a 1 anno e 8 mesi con la sospensione condizionale e la non menzione della condanna solo per diffusione di materiale pedopornografico perché secondo i giudici il ragazzo non ha indotto la minorenne a filmarsi in pose a luci rosse.  Proprio su questo punto si era battuto davanti alla Corte di Appello di Milano l’avvocato Baroncini, secondo cui la ragazzina, come purtroppo molte minorenni di questi tempi, aveva detto al «principe azzurro» di essersi già ritratta in «selfie» in indumenti intimi. Nel suo ricorso in appello il legale ha anche puntato sul fatto che è impossibile credere che, allo scoccare della maggiore età, questi ragazzi possano essere considerati dalla legge improvvisamente maturi dal punto di vista psicologico. «Da questa vicenda appare chiaramente come sia i ragazzi che le ragazze siano da considerarsi vittime - dichiara l’avvocato Marco Baroncini - e che sotto processo dovremmo andare noi genitori, che lasciamo usare ai nostri figli senza controllo questi strumenti virtuali non insegnando loro che i reati che possono scaturire dai loro comportamenti non sono invece virtuali ma reali».  Per questo il legale ha accolto con favore l’invito da parte di alcuni istituti scolastici di simulare per gli studenti il processo su questo caso come realmente accaduto. «Al processo alcuni agenti di polizia giudiziaria rappresentano la pubblica accusa, ci sono io come difensore e un magistrato svolge il ruolo di giudice - spiega il legale -. Facciamo parlare anche gli studenti e stiamo pensando di fare intervenire anche uno psicologo. La prima simulazione del processo l’abbiamo messa in scena nel giugno dell’anno scorso nel liceo per le scienze umane che frequenta mio figlio quattordicenne e ora la stessa insegnante di diritto che si è trasferita in un altro liceo mi ha appena confermato che il preside ci ha messo a disposizione l’auditorium dell’istituto in modo da fare partecipare alla simulazione gli studenti delle classi quarta e quinta. Spero che questa iniziativa possa espandersi anche in altre scuole superiori, io offro la mia disponibilità».