
Monza, la vittima era stata minacciata con una lametta puntata alla gola
Ha violentato il compagno di cella all’interno del carcere monzese brandendo una forbicina e minacciando di tagliargli la gola con una lametta. È l’accusa di cui deve rispondere un detenuto tunisino trentasettenne, K.S., imputato di violenza sessuale in un processo al tribunale di Monza. Presunta vittima un altro detenuto, di nazionalità romena e trentacinquenne, che dopo i fatti era stato nuovamente arrestato in Svizzera finendo in una casa circondariale elvetica, da cui però ora è uscito. L’uomo si è costituito parte civile al dibattimento davanti ai giudici monzesi per ottenere un risarcimento. Il fatto contestato risale all’aprile 2020. Quando il romeno aveva riferito alla polizia penitenziaria di essere stato abusato dal compagno di cella, gli agenti avevano operato con estrema diligenza per garantire la sicurezza del detenuto, allontanandolo dalla cella e dal tunisino con una scusa per poi accompagnarlo a mettere nero su bianco quanto lui sosteneva essere accaduto. Nella denuncia, fatta pervenire poi alla Procura di Monza, l’allora trentenne ha raccontato che il tunisino, con cui condivideva la cella da circa un mese, già alcune volte gli aveva chiesto di fargli un massaggio alla schiena e lui non si era rifiutato per timore di ritorsioni. La sera della presunta violenza, secondo il romeno, il compagno di cella gli ha fatto assumere la sua terapia serale di tranquillanti, unita a quella del giorno precedente, minacciando di ferirlo con una lametta se non l’avesse mandata giù. Poi, approfittando dell’effetto delle extra gocce che l’avrebbero mezzo tramortito, avrebbe proceduto con gli abusi sessuali, brandendo la forbicina e minacciando di tagliargli la gola. Soltanto il giorno seguente, approfittando del fatto che il compagno di cella era andato in palestra, il romeno ha informato gli agenti del carcere.
Accuse poi confermate prima nella denuncia e poi nell’interrogatorio chiesto dalla Procura e accettato dal gip del Tribunale in incidente probatorio come elemento di prova da portare direttamente al processo, considerata la possibilità che la presunta vittima facesse perdere le sue tracce dopo la scarcerazione e non tornasse in aula a testimoniare. Al dibattimento sono state poi acquisite le relazioni della polizia giudiziaria che aveva svolto le indagini e del medico che aveva visitato il romeno. È emersa anche l’ipotesi di un movente punitivo per screzi tra detenuti. Il tunisino, che ora si trova detenuto nel carcere di Pavia, nega con forza la pesante accusa e vuole essere interrogato alla prossima udienza del processo fissata a giugno.
S.T.