Monza - Le estati al Parco di Monza sono belle. Fresche, profumate. Passeggiare fra gli alberi, accarezzare le distese di erba come se fossero il soffice pelo di un animale, le piace. I giardini della Villa Reale poi sono uno splendore quando il vento fruscia tra le foglie e il cielo occhieggia azzurro e terso facendo capolino fra alberi maestosi. A Margherita però non basta. Margherita è una donna curiosa, vivace, piena di iniziative, e quel noioso del marito, re Umberto sovrano d’Italia, che sembra sempre avere qualcos’altro per la testa, non la capisce. Margherita ama le novità, le piacciono i moderni ritrovati della tecnica, le automobili la fanno letteralmente impazzire. Ma quelli ancora sa che non li potrà guidare. E così, quando le capitano per le mani le fotografie di un giornale straniero in cui fa bella mostra di sé uno strano trabiccolo con le ruote, rimane incantata. In Francia pare che abbiano inventato una cosa nuova: la chiamano “velocipede”, sedercisi sopra è un po’ un’impresa, ma se ci si riesce... si può decidere di fare un giro nel verde, sentire magari il vento fra i capelli, e lasciarsi alle spalle per qualche minuto tutti quei pesi e quelle formalità della vita di corte.
Alla Villa Reale di Monza, dove Margherita di Savoia trascorre le sue estati assieme a quel marito sempre distratto (da altri amori, lo sa), bisognerà pure fare qualcosa. Nel 1790, un certo Mede De Sivrac aveva costruito il primo prototipo: si chiamava “célérifère”, “celerifero” ed era costituito da una trave di legno sulla quale erano state fissate due ruote. Una ventina d’anni più tardi il tedesco Karl von Drais lo aveva decisamente migliorato aggiungendoci un manubrio: e dal “celerifero” si era passati alla “draisina”, brevettata in Francia con il nome decisamente più accattivante di “velocipede”. Ma la bicicletta vera e propria, quella che aveva conquistato gli occhi della Regina, era arrivata nel 1861 grazie a un altro francese: Ernest Michaux si era trovato fra le mani una “draisina” da riparare e il giovanissimo fabbro (aveva solamente quattordici anni!) aveva applicato al marchingegno due pedivelle e un sellino.
Erano poi subentrate altre migliorie: ruote dello stesso diametro, cuscinetti a sfera, raggi, pneumatici (inventati nel 1888 da John Dunlop, un veterinario scozzese). A Milano c’è un ragazzo che sembra intendersene. Si chiama Edoardo Bianchi, ed è pieno di iniziativa. Ha imparato a fare il meccanico con i Martinitt , istituzione benemerita che a Margherita piace tanto e dà un tetto e una professione agli orfanelli. Edoardo Bianchi impara velocemente e a 20 anni si mette a trafficare con quegli innovativi e un po’ scomodi veicoli arrivati d’Oltralpe. Li sistema e capisce subito che si possono migliorare: prima riduce il diametro della ruota anteriore, poi abbassa i pedali e applica la catena inventata di recente in Francia. Nasce la “Safety”, una bicicletta decisamente più stabile e facile da guidare in equilibrio senza dover rischiare ogni volta l’osso del collo.
Quando nel 1895 arriva la chiamata dalla Casa Reale per andare alla Villa Reale a mostrare alla regina come utilizzarli, Edoardo Bianchi forse intuisce che la sua vita sta per svoltare. Davanti ai gonnelloni che indossano la regina e le donne come lei, montare sul velocipede può essere parecchio scomodo. Bisogna fare qualcosa. Bianchi apporta dei cambiamenti sostanziali, modifica il sellino, ma soprattutto modifica il telaio e inventa la prima bicicletta da donna. Margherita è entusiasta. Bianchi gliene fa una bellissima, personalizzata, di colore celeste e con lo stemma in oro dei Savoia sul telaio. Le manopole sono d’avorio e alla regina viene presentata dentro a uno speciale astuccio in legno foderato di velluto rosso. Insomma, una bicicletta proprio ... da regina.
L’idea è strepitosa. Bianchi si ritrova in un batter d’occhio fornitore ufficiale della Real Casa. Le richieste da duchesse, marchese, principesse e via scendendo fioccano. Tutti, anzi tutte, vogliono la bicicletta della regina Margherita. Le commesse sono così tante che Bianchi si ritrova a dover impiantare una vera e propria catena di montaggio. L’Officina Meccanica, aperta nel 1885 a Milano in un bugigattolo di via Nirone, a due passi dalla basilica di Sant’Ambrogio per fare cuscinetti a sferra, carrozzelle, campanelli elettrici, è pronta a diventare la maggior produttrice di biciclette d’Italia. E Monza si può fregiare dell’onore si aver visto nascere la prima bicicletta da donna.