Villasanta (Monza), 24 marzo 2024 – A Villasanta da qualche anno ci hanno messo anche una targa .Ed è ancora possibile rintracciare, abbastanza agevolmente, la copia del certificato di nozze.
“Provincia di Milano – Circondario di Monza
Ufficio di Stato Civile del Comune di Monza
Estratto dei registri dagli atti di matrimonio dell’Anno 1926”.
Filippo Tommaso Marinetti, il poeta del Futurismo, animo inquieto, nel pieno del suo fulgore artistico si sposa con Benedetta Cappa. È un 14 aprile, sono le 15.30 e in quella che tre anni più tardi sarebbe diventata Villasanta, la coppia decide di convolare a nozze. Con rito civile. I testimoni sono lo scrittore Umberto Notari, amico di Marinetti, che per la cerimonia ha offerto la propria villa (c’è ancora, in via Garibaldi 40) e Alberto Cappa, fratello di Benedetta.
Dopo il matrimonio, Marinetti parte per l’Argentina e il Brasile per una serie di conferenze e, cosa abbastanza incredibile, si ritroverà schedato come “antifascista”.
Intanto la coppia è allietata dalla nascita della loro figlia primogenita: Vittoria. Il poeta celebra l’evento, avvenuto il 28 giugno, con una delle sue composizioni, una semplice equazione matematica in perfetto stile futurista: “F.T. Marinetti+Benedetta=Vittoria”.
Ma facciamo un passo indietro. Non erano scontate quelle nozze, almeno stando a rileggere quanto Marinetti aveva sostenuto nella sua vita e quanto aveva vergato nero su bianco sul Manifesto del Futurismo, uscito in prima pagina su Le Figaro a Parigi il 20 febbbraio 1909.
Un testo, poi uscito anche su parecchi altri giornali, in cui si sostenevano opinioni destinate a fare discutere, dirompenti, dissacranti: dall’elogio della guerra ("sola igiene del mondo") alla distruzione di musei e biblioteche fino al disprezzo della donna. Tema quest’ultimo che sarebbe tornato anche in altri scritti di Marinetti.
Il rapporto con l’universo femminile era in realtà molto più complesso e controverso, a suo modo anche rivoluzionario e positivo, tanto che lo aveva portato a indicare "le belle libertà" che i Futuristi confidavano di portare in dote alle donne: "dal diritto di voto all’abolizione dell’autorizzazione maritale al divorzio facile, dalla svalutazione della verginità alla ridicolizzazione sistemartica e accanita della gelosia".Il tutto, in nome del libero amopre. Cose che, nell’Europa di inizio Novecento, non erano affatto scontate.
Perché in realtà Filippo Tommaso Marinetti amava profondamente le donne. Parecchio.
E quindi non è un caso che quando incontrò Benedetta Cappa, nel dicembre nel 1918 a Roma nel salotto dell’artista Giacomo Balla, se ne sia innamorato perdutamente. Nata a Roma il 14 agosto 1897 da famiglia piemontese e fin da giovanissima con una spiccata vocazione per la pittura e la letteratura, Benedetta era allieva del pittore Balla e già si dilettava di arte.
L’incontro con Beny, il nome con cui lei stessa firmava le proprie opere, fu una folgorazione per Marinetti. La differenza di età non conta (Marinetti aveva giù superato i 45 anni, Benedetta ne aveva appena 21). Il loro fu amore a prima vista. Non ci sono che le parole del poeta per fugare ogni dubbio: "Ammiro il genio di Benedetta, mia uguale non discepola". Oltre all’amore per la pittura e la letteratura (dipinse molto e scrisse anche tre romanzi), Benedetta avrebbe segnato indelebilmente il futuro marito. Contraddizioni? Per nulla, come aveva spiegato Giordano Bruno Guerri, studioso e forse massimo biografo di Marinetti. Si rintraccia sul web un suo contributo in proposito apparso su Pangea.news: "Quanto a Marinetti, dopo avere teorizzato la distruzione della famiglia, se ne costruì una in cui fu padre e marito esemplare: i rivoluzionari raramente si sentono vincolati, nella vita privata, alle proprie teorie. Ma non ci fu incoerenza in quella scelta: Benedetta Cappa, la donna che sposò, benché molto femminile, non aveva niente da invidiare ai futuristi maschi per intraprendenza, spirito creativo, autonomia, originalità".
Nel mondo dell’arte, partecipò a cinque edizioni della Biennale di Venezia (1926, 1930, 1932, 1934, 1936) e fu invitata a tre edizioni della Quadriennale di Roma (1931, 1935 e 1939).
Le parole vergate quasi di getto sul suo taccunio da Marinetti dopo averla incontrata e la poesia dedicata a Beny sono lì a testimoniarlo:
"O Beny / eau bénite! /Aubepine chère / a l’oeillet rouge /sang de bouge / et de chaire en guerre / que je suis! / … / Beny eau bénite / qui déborde / … / Lait divin / dans mon écorce rude / moi / noix / de ton coco.
Je te dédie ces quinze vers alexandrins / Tous domptés par la loi et soumis au destin / Tu préfères un vers libre aime-les néammoins / Et n’oublie pas que ce vieux mot Fidelité / Est le plus neuf de tous les mots en liberté".
Mentre in Italia, nell’immediato dopoguerra, il futurismo incontrava una sorta di ostracismo per ragioni politico-ideologiche (Marinetti era stato compagno di Mussolini al momento della fondazione dei Fasci di combattimento e aveva aderito al regime fascista), Benedetta si comportò come una modernissima manager, contribuendo a far conoscere il Futurismo e le sue opere anche all’estero, raccogliendone le opere e promuovendo mostre internazionali apprezzatissime sul movimento artistico.