Monza, 30 settembre 2022 - Nel 1986 il tipografo danese Borch Jensen chiama Keith Haring dicendogli di aver costruito la stampante più grande del mondo: "Vuoi venire a provarla?", lo stuzzica. E lui non se lo fa ripetere due volte. Sale sul primo aereo e va a sperimentare la stampa di un ‘foglione’ lungo oltre due metri e alta quasi un metro e mezzo. L’opera è una rivisitazione moderna del racconto greco di Medusa che ha dei serpenti come capelli, ma qui tiene tra le sue grinfie degli uomini: per Haring, che era stato testimone degli effetti mortali dell’Aids, il mostro mitico era un simbolo appropriato della terrificante malattia che uccideva i suoi giovani amici sani in un batter d’occhio. Due anni dopo, nel 1988, anche Haring scopre di essere malato. E nel febbraio 1990, sul letto di morte, il suo ultimo gesto fu prendere un post-it e disegnare uno smiley. A ricordare che la sua vita e la sua arte sono date al pubblico. L’arte per tutti.
In quel mondo che è "il vero museo della gente". Tanto che lui stesso, arrivato a New York da un paesino della Pennsylvania, inizia proprio dalla street art, tra la gente: nelle metropolitane c’erano piccole caselle di carta nera in attesa di essere riempite con un manifesto, lui prese dei gessetti bianchi e su quei fogli neri iniziò a disegnare la sua visione della vita. Arte effimera. Coperta dai cartelloni o strappata. Un paio sono stati salvati, ritrovati e incorniciati all’interno di una corposa collezione privata americana che da oggi fino al 29 gennaio sarà in mostra all’Orangerie della Villa Reale di Monza.
‘Keith Haring. Radiant Vision’ ripercorre tutta la (breve) parabola di un artista che ha riscritto le regole dell’arte contemporanea e ha esplorato senza riserve il potenziale di marketing del suo ‘marchio’ attraverso collaborazioni commerciali e prodotti per il mercato di massa. L’élite artistica lo considerava volgare, ma per lui questi "progetti speciali" più che una semplice fonte di entrate o di ispirazione, erano invece un’opportunità unica per portare l’arte nella vita di tutti i giorni: "Il denaro è il contrario della magia. L’arte è magia, la magia deve trionfare sempre", ha scritto sul suo diario.
Tra litografie, serigrafie, disegni su carta e manifesti oltre a spille e magliette, in mostra per la prima volta in Europa un patrimonio di 130 opere suddivise in nove sezioni: dall’Iconografia con i pittogrammi che ricordano quelli del Sud America o i geroglifici egizi in una ricerca di elementi visivi che potessero parlare di qualcosa di universale come i cani che abbaiano, i bambini raggianti, i volti sorridenti, le folle pulsanti, i televisori accesi e i dischi volanti che emettono raggi luminosi, alla Giustizia Sociale con i lavori di ‘artivismo’ contro l’apartheid. E ancora, in mostra il lavoro fatto con i giovani e in particolare la Kalish Suite, un gruppo di undici incisioni realizzate con Sean Kalish, un bambino delle elementari che frequentava il Pop Shop e che mostrava un talento precoce per i disegni dinamici e lineari simili a quelli di Haring.