Il proverbio è chiaro: meglio soli che male accompagnati. Ma insomma, fa specie che tra le pagine di una pubblicazione di prestigio come la Guida “Osterie d’Italia“ di Slow Food che celebra la cucina della tradizione che si rinnova senza annegare nella nostalgia, appaia un solo e unico locale del Monzese: La Piana di Carate Brianza.
Buon per lui, per il patron-chef Gilberto Farina, presidio mentale e identitario di un certo modo di pensare alla buona tavola del territorio senza mai scivolare nella caricatura o nella ripettiività. In effetti, l’edizione 2024 presentata ieri a Milano ha assegnato al locale di via Zappelli 15 la famosa “Chiocciola“, simbolo che certifica le assolute eccellenze, ovvero le attività di ristorazione che condividono i valori di Slow Food, rintracciabili sia nella proposta al tavolo che nell’accoglienza e nell’ambiente. E qui i complimenti alla Piana si sprecano. "Una cucina di gusto e di etica della materia prima, dove il pasto diventa una coccola, un lento trasporto verso sapori e tradizioni autentiche", si legge nella presentazione del locale, dove si assaggiano – scrive Slow Food – "proposte ricche di gusto e sostanza". Compresi i piatti al giorno d’oggi "considerati scomodi ai più", come l’insalatina di nervetti e cannellini ("Una vera opera d’arte"), la "lingua in umido" e certi formaggi (in arrivo dalle malghe della Valsassina) di cui Gilberto è definito (sempre da Slow Food) un vero cultore. E l’interessato? Ovvio, felice: di raggiungere, ieri mattina, il Teatro Puccini di corso Buenos Aires Milano per ritirare l’ambito riconoscimento; e di essere una delle 6 new entry della Lombardia ammesse dalla guida 2024 al podio delle osterie più meritevoli e degne appunto della Chiocciola (in totale sono 23). La sua reazione? Più gratitudine che vanità. Con l’aggiunta di un certo rammarico, "perché - spiega Gilberto – è un peccato che una terra ricca di tradizioni e di prodotti come la Brianza non riesca poi a esprimere una cucina del territorio riconosciuta e apprezzata". Il vero problema? "C’è in giro troppa confusione. Si storpiano piatti che hanno una storia e una precisa connotazione. E si spacciano per tipiche ricette che non lo sono". Nel piccolo cortile di via Zappelli 15 le regole sono severe: prodotti a chilometro zero, servizio accogliente e di qualità ma non pomposo, riconoscibilità dei piatti che vale più dell’enfasi narrativa che oggi spopola sui social. Per la cronaca, questi sono giorni decisivi per La Piana: è già iniziata la stagione della cassoeula ed è al via quella del gran bollito misto, proposto il giovedì e il venerdì. Piccola punta polemica sul mitico risotto alla monzese: "Quello autentico è con Barbera e luganega". Domanda impertinente: "E lo zafferano?". Risposta: "Non va utilizzato. Se non a gennaio, per creare quello che è noto come risotto della Giubiana".