MONZA – “Monza è una città particolarissima, dove avremo la fortuna di affrontare qualcosa di unico: riuscire a portare avanti tre progetti molto diversi tra loro, sia per zona sia per finalità. La costruzione di un condominio residenziale, una ristrutturazione di edilizia sociale e un intervento su un palazzo medievale. Dal centro alla periferia, con destinatari diversi”. L’archistar Stefano Boeri mette la firma sul nuovo volto di Monza insieme con i professionisti del suo studio, Stefano Boeri Architetti.
Architetto, perché proprio Monza?
“Credo sia una città che è stata capace di costruire una sua identità distintiva nella relazione con Milano, confrontandosi alla pari, nonostante siano realtà urbane ben diverse per dimensione. Ha mantenuto un protagonismo e una nobiltà senza mai soggiacere alla predominanza di Milano. Ha grandi potenzialità. Ed è il volto più visibile della Brianza verso il capoluogo lombardo. E poi è una città che conosco molto bene: mia madre (l’architetto e designer Cini Boeri, ndr) è stata impegnata a lungo per il museo del Duomo, l’ho studiata da docente e ho lavorato per Villa Reale con la Triennale”.
Qui ha deciso di replicare un “Bosco verticale“ in miniatura, il cui progetto è appena sbloccato dalla giunta...
“Ribattezziamolo così. È un intervento su una ex area industriale lungo la via Foscolo, dove noi cercheremo di recuperare alla vita quel ’buco nero’. Nascerà una sorta di corte, con una quinta di due edifici dove il verde sarà una parte fondamentale. Del resto è questa la filosofia con cui da anni lavoriamo: utilizziamo la natura come componente essenziale del costruire”.
E questo vale anche per il progetto su 95 appartamenti delle case Aler in via Baradello, alla periferia di Monza?
“Assolutamente sì. Si tratta di un piccolo progetto che potrà diventare un modello di riferimento in grado di unire sostenibilità ambientale e inclusione sociale, i due pilastri della transizione ecologica. E farlo su due case popolari rende questa visione ancora più importante. Possiamo intervenire non soltanto per la coibentazione delle facciate, cioè sul miglioramento termico, ma anche sui piani terra creando una connessione tra i due edifici. Abbiamo introdotto un sistema di balconi che permette di allargare lo spazio degli appartamenti, facciate verdi oltre a una vasta copertura di fotovoltaico che garantirà l’autosufficienza energetica degli edifici in grado di sostenere un progetto ambizioso di comunità energetica tra le case Aler. Così si potranno distribuire tra le famiglie meno abbienti i vantaggi ricavati dal contributo energetico che eccede i bisogni degli edifici stessi”.
Questo dimostra “le potenzialità“ di cui parlava prima?
“Certamente Monza ha carte da giocare nella valorizzazione dei suoi edifici, non soltanto quelli storici come l’Arengario. E carte da giocare anche nella rigenerazione di quel tessuto di ’artigianato di qualità’ che l’hanno resa celebre. A partire dall’Isia, l’Istituto superiori per le industrie artistiche che un tempo c’era alla Villa Reale”.
A proposito di Villa Reale, lei ha lavorato qui con la Triennale. è una sfida che meriterebbe di essere affrontata di nuovo?
“Sono convinto che la Villa Reale sia la vera grande incompiuta di Monza. Ed è un peccato. La Triennale è nata proprio a Monza nel 1923, da qui è partita tutta la storia di quella che oggi chiamiamo manifattura di qualità. E come Triennale siamo apertissimi a ristabilire un rapporto con la Villa Reale, ma dev’essere fatto un progetto serio, integrale, che coinvolga tutto il territorio e tutte le sue anime, da quella artistica al turismo, all’economia e all’architettura”