MONZA – Relazioni tossiche, dipendenze affettive che impediscono di uscire da situazioni conflittuali, strategie manipolatorie. I social. Sono molti gli ingredienti che sembrano emergere dietro alla vicenda sfociata l’altra notte in un omicidio a Bovisio Masciago. Con una giovane donna, Stella Boggio, che estenuata a quanto dichiarato dalle continue violenze fisiche e psicologiche subìte dal compagno Marco Magagna lo ha ucciso con una coltellata al petto. Elena Ritratti non è soltanto una psicologa, con tanto di studio a Monza, ma è anche una psicologa penitenziaria, ammessa a lavorare nelle carceri italiane per occuparsi di detenuti e della loro riabilitazione.
Senza addentrarsi troppo in un caso ancora da chiarire, tentiamo di fare chiarezza. Si è parlato di legittima difesa.
“Un concetto sensibile, che spesso suscita critiche. Come è possibile commettere un atto efferato come un omicidio per legittima difesa? Questa è una delle domande che si sentono fare più spesso. Occorre valutare però che la brutalità dell’atto omicidiario può essere motivata a volte da una dinamica di crescente terrore tale da indurre a reazioni estreme. C’è una strategia psicologica di protezione e auto-conservazione insita in tutti gli esseri viventi”.
Si è più abituati a vedere sfociare casi simili nell’ennesimo femminicidio...
“Ma in quei casi in atto c’è una strategia di appropriazione. Nei conflitti fra uomini e donne spesso i primi approfittano della propria superiorità fisica mentre nelle seconde assistiamo a strategie manipolatorie più subdole”.
Non basterebbe denunciare?
“Sarebbe la cosa migliore, ma occorre considerare che spesso si possono innescare due tipologie di dinamica che portano a non farlo: la paura per se stesse e i propri cari; ma anche il timore di perdere il proprio partner, in una vera e propria dipendenza affettiva e a volte anche economica. Tutti meccanismi psicologici che possono bloccare, quando invece la cosa migliore da fare è sempre denunciare qualora soprattutto si ricevano molestie e minacce psichiche e fisiche”.
Le donne soprattutto si ritrovano spesso in dinamiche simili.
“Dinamiche tipiche di una relazione tossica, con rapporti disfunzionali in cui invece che dare benessere la relazione risucchia o toglie energie innescando conflitti tanto intensi e frequenti da arrivare a volte ad ‘agiti’ violenti, come quando in una coppia al culmine di una lite si lanciano oggetti o si usa la violenza fisica”.
Entrambi i partner possono ritrovarsi in casi simili?
“Sì, in questi casi la relazione tossica può portare a una dipendenza affettiva reciproca, in cui entrambi adottano strategie violente, dall’alzare la voce o le mani nei confronti del partner a provocare con comportamenti subdoli e passivi in un rapporto tanto tossico da portare entrambi ad aggrapparcisi senza riuscire a uscirne”.
Anche i profili social di lei sono diventati terreno di scontro.
“I social purtroppo sono una piattaforma e una cassa di risonanza in cui tante persone proiettano dinamiche conflittuali e problemi personali per sfogarsi. Senza considerare che a leggere i commenti, come in questo caso, può essere anche un ragazzino. Come il figlio della donna”.
Uscirne è complicato.
“Bisognerebbe in certi casi vietare i commenti in quella chea spingere a scrivere è una spinta narcisistica”.
Come di esce da una relazione tossica?
“Serve una terapia che faccia capire che una relazione sana, come diceva lo psichiatra Ludwig Bainswanger, è una ‘unitaria dualità, nella quale bisogna restare fedeli a se stessi anche nell’altro’. Diffido dalla ricetta romantica degli innamorati che paragonano se stessi a ‘due metà’. C’è il pericolo di una svalutazione di se stessi. Un concetto che andrebbe insegnato sin dalle scuole elementari”.