"Eravamo 13 fratelli, io ero l’ultimo: mio padre faceva il contadino, lavorava nei campi ma faceva tutto quello che poteva, anche il muratore, per riuscire a mantenere una famiglia così numerosa".
Ruben Buriani, classe 1955, la "pannocchia bionda" come fu soprannominato, centrocampista di corsa e sostanza, probabilmente il senso della fatica e del sacrificio li impara proprio lì. In famiglia e nei campi.
Da ragazzino entra nelle giovanili della Spal, ma il salto che gli cambierà la vita arriva nel 1974. Ed è colorato di biancorosso. Gioca nella squadra riserve della Spal, "incontrai il Monza e qualcuno mi notò, all’andata, e poi evidentemente pure al ritorno. E così, in uno scambio di giocatori fra le due società, nell’affare mi ci ritrovai anch’io".
Sabato alle 18 a San Siro si giocherà Milan-Monza, per la prima volta in serie A (le squadre si sono già incontarte in serie B). Una serie dinfinita di incroci a partire da quella del presidente Berlusconi e dell'Ad Galliani.
Ruben Buriani approda nel Monza più bello dell’epoca, il Borussia della Brianza. "In tre anni vincemmo il campionato e la Coppa Italia di serie C e ci ritrovammo a lottare per la serie A. Che non voleva proprio arrivare: indelebile e amaro il ricordo della partita a Modena nel 1977 a fine campionato (19 giugno, Monza battuto 2-1 con un autogol bruciante a 6 minuti dalla fine che rese vano il pari illusorio proprio di Buriani, ndr ). Se avessimo vinto saremmo saliti. E invece fummo sconfitti e il sogno svanì".
Nel frattempo però 8 giocatori di quella squadra finiscono in serie A per davvero, al calciomercato, acquistati da squadre della massima serie.
Fra loro c’è anche Buriani: lo prende il Milan. Assieme al compagno Ugo Tosetto, il “Keegan della Brianza”, "assieme facevamo faville. A Monza c’era un bellissimo gruppo, eravamo una famiglia, con Giovanni Cappelletti presidente, mister Alfredo Magni in panchina, Giorgio Vitali direttore sportivo. E Adriano Galliani accompagnatore, lo vedevamo soprattutto in trasferta".
Al Milan, Buriani si trova in mezzo a giocatori già affermati: "Che squadra... Mostri sacri come Rivera, ma anche Albertosi, Bigon, Capello… in panchina prima Nereo Rocco e poi Nils Liedholm. Nel 1979 vincemmo lo scudetto della stella".
Il ricordo più dolce?
"Il primo derby: ero appena arrivato e davanti a 90mila spettatori feci una doppietta. Il sogno di ogni ragazzo che giochi a pallone.
A casa non avevamo nemmeno la Tv, mio padre col lavoro nei campi non riuscì mai a venire a vedermi allo stadio, ma quella partita come tante altre la sentì alla radio. Per tutto il paese (Portomaggiore, provincia di Ferrara, ndr ) che all’epoca credo non avesse più di mille abitanti, era un piacere che uno dei suoi ragazzi ce l’avesse fatta".
Ora il Monza in A ci è arrivato davvero.
"Del resto, con Berlusconi e Galliani non poteva che andare così, per competenza e risorse. A Monza c’erano un discreto centro sportivo e uno stadio che hanno ristrutturato completamente, perché nel calcio non ottieni nulla se prima non metti tutte le cose a posto, hanno dato slancio e una spinta decisivi. Non sarà facile, ma c’è tutto quello che serve per salvarsi".
Lei era stato anche dirigente dopo aver appeso gli scarpini al chiodo.
"Sono stato responsabile del settore giovanile del Milan e direttore sportivo al Monza, con l’ultima promozione in B del presidente Valentino Giambelli con Gigi Radice in panchina nel 1997. Mi piacerebbe tornare allo stadio, ma sabato il mio cuore sarà diviso a metà. Spero soprattutto che sia una bella partita, spettacolare, che faccia innamorare ancora di più questo pubblico della squadra della sua città".