
Alberto Stasi e Chiara Poggi
Garlasco (Pavia) – I giornali lo ribattezzarono il “biondino di Garlasco”. Oggi Alberto Stasi ha 41 anni. Sconta una condanna definitiva a sedici anni di reclusione per l’omicidio della fidanzata Chiara Poggi, uccisa nella sua villetta di Garlasco, nel Pavese, il 13 agosto del 2007. Una lunga, tormentata storia giudiziaria, passata attraverso cinque processi, due assoluzioni prima della condanna, due richieste di revisione e un ricorso straordinario tutti respinti. L’ultimo capitolo si chiude con la decisione della Corte europea dei diritti dell’uomo che ha dichiarato “irricevibile” il ricorso presentato nel 2016 da Alberto Stasi contro l’Italia per lamentare la violazione dei suoi diritti.
Il tempo dell’attesa
Fallito anche questo tentativo, Stasi ora può solo aspettare. Ogni giorno di attesa potrebbe fargli sentire meno lontano il profumo della libertà. La sentenza della Cassazione che ha cristallizzato la condanna è stata pronunciata il 12 dicembre del 2015. Il fine pena nel 2030 potrebbe essere anticipato al 2028 per buona condotta con lo scomputo di 45 giorni di liberazione anticipata ogni 6 mesi.
Nel frattempo Stasi ha raggiunto i termini per la richiesta della semilibertà. Ma soprattutto, verso giugno di quest’anno, maturerà il diritto di chiedere l’affidamento ai servizi sociali. Se la sua istanza venisse accolta, significherebbe essere scarcerato.
Viene descritto come un uomo che ha acquisito una sua dimensione di vita. Ogni giorno, dal gennaio del 2023, dopo essere stato ammesso al “lavoro esterno”, raggiunge la società dove svolge mansioni contabili e amministrative per poi fare rientro nel carcere milanese di Bollate.
I motivi del ricorso (respinto)
I suoi legali avevano fondato il ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo su alcuni motivi. Fra questi, il diniego opposto dall’Assise d’appello di Milano (alla quale la Cassazione aveva rinviato il procedimento) di risentire la vicina di casa Franca Bermani che, nei minuti in cui si consumava il delitto, vide una bicicletta nera da donna appoggiata al marciapiede della casa dei Poggi.
In primo grado il gup di Vigevano aveva assolto l’imputato perché la descrizione della bici non corrispondeva a quella visionata da un maresciallo nell’officina del padre di Stasi. Quando la bicicletta era stata sequestrata per il secondo processo d’appello, la difesa aveva chiesto, senza ottenerlo, che Franca Bermani venisse convocata. Questo motivo era stato ammesso dalla Cedu di Strasburgo. Ma dopo averlo esaminato, la prima sezione ha stabilito all’unanimità di non ricevere il ricorso.
Le dichiarazioni della testimone “facevano parte degli elementi contenuti nel fascicolo della Procura e, chiedendo il giudizio abbreviato, il ricorrente aveva accettato di essere giudicato sulla base delle suddette dichiarazioni, e aveva rinunciato a ottenere l’audizione della testimone nel corso del processo”.
"Equità non compromessa”
Stasi è stato condannato su “vari elementi di prova”. Quindi “la Corte considera che la decisione della Corte d’assise d’appello di rinvio di non sentire nuovamente B. non abbia compromesso l’equità del procedimento penale a carico del ricorrente, considerata nel suo complesso”.
“La difesa di Alberto Stasi – dice l’avvocata Giada Bocellari – aveva già da tempo preso atto con rammarico della decisione delle Corte europea dei diritti dell’uomo di non accogliere il ricorso, benché lo stesso avesse superato il primo vaglio di ammissibilità. Pur rispettando la decisione della Corte, riteniamo che la questione sollevata presentasse profili fondati di rilevanza giuridica e costituisse un’occasione per ribadire principi fondamentali in materia di diritti e giustizia equa. Il nostro assistito ha sempre affrontato questa vicenda con fiducia nelle istituzioni e nel diritto, nonostante gli esiti negativi, e continuerà a farlo, ribadendo sempre la sua estraneità ai fatti che lo tengono in carcere da quasi dieci anni”.