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Elliot La Fonta (nella foto con la moglie Juilet) discendente di Jacques II de Chabannes de La Palice
Pavia, 23 febbraio 2025 – Ha combattuto con tre re, era un soldato valoroso, ma è passato alla storia perché uno studioso che ambiva a un posto all’università ha tradotto in modo forse non corretto il suo epitaffio. Così l’accademico ha avuto la sua cattedra e Jacques II de Chabannes de La Palice è passato alla storia per essere l’inventore del termine “lapalissiano“, anche se pochi legano l’aggettivo al maresciallo dell’esercito francese morto a Pavia il 24 febbraio 1525.
La storia è stata ricostruita da Elliot La Fonta, discendente di La Palice, arrivato in questi giorni nel capoluogo pavese per assistere alla rievocazione dello scontro tra le truppe di Francesco I e quelle spagnole di Carlo V. “Quando ho saputo della rievocazione – spiega La Fonta –, ho sentito il bisogno di venire a vedere dove aveva combattuto il mio antenato. Monsieur de La Palice è il personaggio più famoso della mia famiglia avendo combattuto con Carlo VIII, Luigi XI e Francesco I”.
Valore in battaglia
Nato nel castello di Carlo VIII, La Palice è stato educato alla corte di Francia che gli ha tributato il titolo di cavaliere. “La Palice ha combattuto tutte le battaglie in Italia, Paese al quale era molto legato. A Pavia, da quanto sappiamo, non è morto sul campo: è stato fatto prigioniero da un capitano italiano, di nome Castaldi. Un capitano spagnolo, però, avrebbe voluto avere La Palice per farsi pagare un riscatto. Castaldi non avrebbe accettato e al grido, ‘se non sarà mio non sarà di nessun altro’ La Palice sarebbe così stato ucciso. Morire non in battaglia sarebbe disonorevole per il primo maresciallo di Francia, e così, per restituirgli almeno un po’ di gloria, i compagni d’arme gli hanno dedicato una canzone che hanno cantato ripetutamente in tutte le città che toccavano durante il trasferimento della salma del comandante da Pavia alla Francia. Un viaggio durato un anno intero. “Ci-gît Monsieur de La Palice. Si il n’était pas mort, il ferait encore envie” (“Qui giace il signore de La Palice. Se non fosse morto, farebbe ancora invidia”) la frase che molto probabilmente si leggeva sul monumento funebre. Con il tempo la effe di ferait (“farebbe”) fu letta esse (a quel tempo le due grafie erano simili), diventando quindi serait (“sarebbe”), e la parola envie (“invidia”) divenne en vie (“in vita”). Il testo è diventato “se non fosse morto, sarebbe ancora in vita” (“si il n’était pas mort, il serait encore en vie)”.
La traduzione sarebbe stata fatta da Bernard de La Monnoye, accademico di Francia, poeta e letterato, che ha intitolato a La Palice una canzone dove lo dileggiava come campione per antonomasia della banalità e dello scontato.
Destino infelice
“De La Monnoye con quella canzone – ha proseguito Elliot La Fonta – ha ottenuto la promozione che voleva e La Palice è passato alla storia non per il suo valore militare, ma come campione dell’ovvio”. In tutta Europa si usa l’aggettivo lapalissiano, anche se spesso non lo si collega al primo maresciallo di Francia.
Tanto meno durante la rivoluzione francese si pensava che La Palice fosse così noto, eppure in quei giorni terribili i rivoluzionari partiti da Marsiglia per raggiungere Parigi hanno profanato la sua tomba che si trova nel castello di La Palice, gettato via la tomba e decapitato il busto. “Sistemando le prigioni del castello quest’anno abbiamo trovato alcuni resti. Il monumento funebre che custodiva i resti di La Palice e della moglie Marie de Melun diceva che il maresciallo era morto a Pavia e abbiamo trovato un’altra pietra con scritto ‘assedio’, che credo proprio si riferisca al lungo assedio di Pavia”.
Alla scoperta delle radici
In questi giorni il discendente del comandante, pieno di commozione, ha toccato tutti i luoghi in cui il suo avo era stato e ripercorso le tappe inseguendo un sogno, legare Pavia a Lapalisse. “Lapalisse è una piccola città, con il castello in cui vivono tre famiglie: quella di mio zio, di mia cugina e mia mamma. Mio zio è un omonimo del maresciallo, ma è Jacques XXIV. Il castello è stato acquistato dal nonno di La Palice legato a Giovanna D’Arco e morto nella battaglia di Castiglione. Il figlio ha fatto costruire la galleria in stile italiano, un unicum in Francia. Io che mi occupo delle visite al castello e ho studiato la storia del mio antenato, sentivo proprio il bisogno di venire a vedere dove è morto. Sarebbe bello che Pavia e Lapalisse si gemellassero e sarebbe un onore se Pavia dedicasse al maresciallo un monumento”.