Garlasco (Pavia), 21 marzo 2025 – Se dopo diciotto anni dal delitto di Chiara Poggi il Dna è tutt’altro che un elemento univoco per garantire la colpevolezza o l’innocenza di un individuo, più ancora lo sono le parole dei testimoni.
In una vicenda dove il clamore e la voglia di partecipare hanno creato non pochi rischi di inquinamento dell’inchiesta, almeno altrettanti ne hanno provocati gli errori compiuti nei primi rilievi sulla scena del crimine.

E poi i testimoni, creduti e ritenuti preziosi, ma le cui parole sono servite una volta per assolvere e l’altra per condannare, testimoni considerati inattendibili, che fin dalle prime fasi hanno raccontato fatti importanti, ma non sono stati benedetti dai riscontri o dalla considerazione dei giudici.
Il netturbino
Il primo a cadere sotto la scure di una sentenza è un uomo che oggi ha poco meno di cinquant’anni e ai tempi 31. M. D. M. lavorava allora come tecnico in una municipalizzata della zona, professione netturbino.
Si presenta agli inquirenti il 27 settembre 2007, oltre un mese dopo il delitto. Dice che il 13 agosto, mentre sta lavorando in zona, su via Pavia, quella che fa angolo con la strada chiusa della villetta dell’omicidio, via Pascoli, incrocia una “bici nera da donna con una ragazza bionda”.

L’ora indicata, tra le ore 9.30 e 10, allora sembra quella del delitto. Ma la sentenza definitiva che condanna Alberto Stasi stabilisce che l’omicidio è avvenuto fra le 9.12 e le 9.35. La ragazza porta un taglio “a caschetto e gli occhiali da sole”.
E poi, fatto curioso, reggeva “in mano un piedistallo tipo da camino di colore grigio”. Il ritratto di una delle cugine di Chiara: un caso che finirà con un processo per calunnia da cui il testimone uscirà assolto. Al termine “delle informazioni rese, il teste dichiarava, invece, di essersi inventato tutto”, scrive il gup di Vigevano Stefano Vitelli, che assolve Stasi nel dicembre 2009.
Le biciclette
Questione di biciclette, come quella nera, da donna, col cestino e la sella con le molle cromate e il portapacchi a mollettone, che la mamma di una vicina di Chiara, giunta per rifocillare i gatti della figlia in ferie, aveva notato in orario compatibile con il delitto.
Quella bici, diversa da quella amaranto di Stasi, servirà ad assolvere il fidanzato. Quella stessa testimonianza sulla bici, creduta, ma arricchita di altre considerazioni e di analisi, finirà per essere un elemento della condanna nell’Appello bis.
Il netturbino, nella sentenza del 2009, viene considerato vittima dell’onda mediatica che travolge i ricordi, diventati “una sorta di collage delle informazioni che conosceva in merito a questo omicidio, fra cui, appunto, la bicicletta nera”. Se M.D.M. è travolto dalle circostanze, diciotto anni dopo i ricordi rischiano di essere ancor meno solidi.
Il maestro di musica
Come quelli un maestro di musica di Garlasco che, in perfetta buonafede, racconta un’altra storia di sellini e ruote ai carabinieri nel 2009. E riceve la qualifica di supertestimone. P. E. F., di sicuro non è l’uomo che oggi ha ottenuto il medesimo attributo (nella trasmissione Tv Le Iene), poiché è deceduto.
Allora, però, l’uomo, che scrisse anche una poesia per la ragazza uccisa, saputo che in ipotesi Chiara era stata assassinata fra le 7 e le 12, riferì di aver incrociato in bicicletta vicino a via Pascoli la mattina del 13 agosto 2007 una figura attorno alle 7.30. Davanti a casa Poggi ci sarebbe stata una figura timida, china in avanti, a controllare la ruota anteriore. Era forse un uomo, vestito di grigio o di blu. Non fu creduto.