STEFANO ZANETTE
Cronaca

Garlasco, quella scena del crimine dai mille errori: scivoloni nel sangue, sviste e gatti liberi dentro casa

Già dai primi accertamenti, nell’agosto 2007, il caso dei rilievi all’interno di un’area “molto contaminata”. Problemi anche sul computer: fu acceso per sbaglio rendendo più difficile la perizia

I carabinieri del Ris nella villetta di via Pascoli a Garlasco il 27 agosto 2007

I carabinieri del Ris nella villetta di via Pascoli a Garlasco il 27 agosto 2007

Garlasco (Pavia) – Da quasi 18 anni si sta parlando degli errori commessi nelle indagini sull’omicidio di Chiara Poggi il 13 agosto 2007. Ora per la riapertura delle indagini, ma anche al ribaltamento al terzo grado di giudizio nell’aprile del 2013, quando la Cassazione annullò la sentenza dell’Appello, che aveva confermato la prima assoluzione del dicembre 2009.

Ma chi ha seguito le indagini fin da quel drammatico lunedì 13 agosto, può ricordare i dubbi, riportati nelle cronache quotidiane, ben prima delle sentenze, con ancora i primi accertamenti in corso. Ancora in pieno svolgimento degli accertamenti dei Ris nella villetta di via Pascoli, emerse infatti una scena del crimine “molto contaminata”, circostanza che allora era solo una “indiscrezione” riferita da chi aveva visto l’interno della villetta, ma che venne poi confermata nel corso dell’iter giudiziario, soprattutto nel primo processo con rito abbreviato davanti al gup dell’allora non ancora soppresso Tribunale di Vigevano, che terminò appunto con la prima assoluzione.

CCCASA
Macchie di sangue in casa

Le impronte dei gatti dimenticati all’interno della villetta di via Pascoli, lasciati liberi di zampettare. Una anomala traccia di sangue sul pavimento che le prime indiscrezioni avevano ipotizzato fosse un segno di trascinamento del cadavere, risultata invece la conseguenza di uno scivolone, sia in senso letterale che figurato, di chi aveva calcato la scena del crimine senza le dovute cautele.

E non solo errori sulla scena del delitto, ma anche ritardi nelle perquisizioni e nelle acquisizioni di elementi probatori, come il computer dell’alibi di Alberto Stasi, che dopo essere stato consegnato ai carabinieri fu impropriamente acceso facendo perdere attendibilità alle successive perizie tecniche. Se ora è la distanza del tempo a non rendere più disponibili alcuni reperti, anche all’epoca delle prime indagini c’erano già gli stessi dubbi che hanno portato a un iter giudiziario che sembra non avere mai fine.