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Il presidio di Casteggio nelle vicinanze del casello sulla Torino-Piacenza
Il 2024 è stato archiviato come un anno da dimenticare nel mondo dell’agricoltura, con raccolti scarsi e imprese in difficoltà. Per questo motivo, a quasi dodici mesi di distanza dal momento in cui i trattori avevano invaso le più grandi città della provincia, gli operatori sono tornati in piazza. Da ieri mattina oltre una ventina di loro è in presidio nei pressi del casello autostradale sulla Torino-Piacenza. "Intendiamo restare qui una settimana – ha spiegato Enrico Chioetto, uno dei portavoce del presidio di Casteggio –, se non ci arriveranno risposte prima".
Attraverso l’associazione Riscatto agricolo chiedono lo stato di crisi a livello nazionale perché "mentre l’agroalimentare italiano (in mano a lobbies e multinazionali) cresce, le piccole e medie imprese dell’agricoltura, dell’allevamento e della pesca si impoveriscono e il Paese perde la sua sovranità alimentare". Diversi i presidi organizzati da nord a sud. "Per la prima volta siamo tutti uniti – ha aggiunto Chioetto –. Abbiamo dato vita al Coapi (Coordinamento unitario agricoltori e pescatori italiani) che dal febbraio dell’anno scorso opera aggregando decine di realtà territoriali e nazionali impegnate a denunciare la crisi".
Diversi i problemi che ogni regione accusa e che in venti anni hanno portato alla chiusura di oltre il 50% delle aziende della pesca e agricole (meno 500mila solo negli ultimi dieci anni). Del totale di 1,3 milioni chiuse, il 75% è in montagna o collina (con l’abbandono delle aree coltivate pari a circa 850.000 ettari in zone particolarmente vulnerabili dal punto di vista ambientale, idrogeologico e sociale).
"Il settore vitivinicolo – ha aggiunto Chioetto – a livello nazionale ha investito centinaia di milioni di euro per salvare le viti e la produzione è stata dell’80% in meno rispetto agli altri anni. Nel settore cerealicolo, invece, i prezzi di vendita sono la metà del 2023, ma anche la qualità è inferiore e la quantità è del 30% in meno".
L’obiettivo dei manifestanti è sensibilizzare l’opinione pubblica che si trova a spendere sempre di più quando va al supermercato. "I costi di produzione non sono più sostenibili – ha aggiunto il portavoce – però non vogliamo che a farne le spese sia il consumatore finale, già costretto a spendere sempre di più per fare la spesa. Dalla materia prima allo scaffale ci sono dei passaggi da rivedere, occorre accorciare la filiera in modo da valorizzare i nostri prodotti, aumentare i nostri introiti e incentivare l’acquisto del made in Italy per far sopravvivere la nostra tradizione e la qualità dei nostri prodotti".