Il Covid aiuta a curare l’Alzheimer. Lo si può dire alla luce della straordinaria scoperta della Banca del Cervello di Abbiategrasso: il Coronavirus non riesce a entrare nelle meningi perché il virus Sars-CoV-2 non si attacca ai neuroni. La scoperta si accompagna a un ulteriore passo avanti: l’aggressione del Covid ai neuroni attiva una serie di processi difensivi da parte delle cellule del cervello, che nei soggetti già predisposti stimolano o risvegliano, acuendoli, i fenomeni neurologici degenerativi tipici di Alzheimer e demenza senile. Il che apre nuove e importanti strade alla ricerca medica.
La scoperta è avvenuta grazie alla collaborazione tra la Banca del Cervello e l’Università di Pavia, come spiega il dottor Emanuele Poloni, consulente neurologo all’Ospedale Riabilitativo Golgi-Redaelli e responsabile della Banca del Cervello di Abbiategrasso: "Durante la pandemia noi avevamo sospeso l’attività di prelievo di cervelli, ma i colleghi di Medicina Legale dell’Università di Pavia venivano da noi a fare le autopsie autorizzate dal magistrato sui morti di Covid. Abbiamo così potuto confrontare i cervelli dei malati di Covid con i “nostri“ cervelli di persone precedentemente decedute senza il virus ma più o meno nelle stesse condizioni di salute, cioè anziani con e senza demenza. Abbiamo visto – illustra il ricercatore – che il virus non si replica nel cervello, contrariamente a quanto hanno sostenuto molte riviste scientifiche, anche di un certo livello. In realtà il virus non è neurotropo, cioè non si attacca ai neuroni bensì determina la cosiddetta tempesta citochinica, ovvero attiva le cellule infiammatorie che si trovano all’interno del tessuto nervoso: questi mediatori naturalmente sono molecole, quindi passano la barriera ematoencefalica e attivano quelle cellule. Cellule che, soprattutto nei pazienti con malattie neurodegenerative come la demenza, sono già “primed“, cioè preimpostate per sferrare un attacco. La tempesta citochinica che viene dalla periferia, nei malati di Covid, ha riattivato queste cellule già predisposte all’attacco, che hanno prodotto dei danni".
Spiega ancora Poloni: "Si è inoltre osservato che il virus non entra nel cervello, ma alcuni frammenti proteici del capside virale, frammenti virionici, possono penetrare e a loro volta innescare un’attivazione delle cellule microgliali. Questo ci ha dato spunto per avviare una nuova ricerca, perché abbiamo capito che una disfunzione o un’iperattivazione di tali cellule è un elemento importante anche per il peggioramento delle malattie neurodegenerative non legate al Covid, tra cui appunto la malattia di Alzheimer. È uno dei pochi casi in cui possiamo “dire grazie“ al Covid, perché ha permesso alla ricerca scientifica un nuovo risultato. Studiare la morte aiuta a capire la vita, c’è sempre questo equilibrio nel campo della ricerca scientifica".
Silvia Lodi Pasini