
di Manuela Marziani
Spremute d’arancia, di limoni, di kiwi e pastiglie di vitamina C: nei mesi scorsi, quando qualche influencer ha diffuso la notizia che un’alimentazione ricca di frutta e verdura avrebbe tenuto lontano il Covid, molti sono corsi nelle farmacie e nelle parafarmacie per fare incetta di supplementi di vitamina C. Uno studio pubblicato su Frontiers in Immunology, rivista ufficiale dell’International Union of Immunological Societies (IUIS), intitolato "The Long History of Vitamin C: from prevention of the common cold to potential aid in the treatment of Covid 19" coordinato dal professor Giuseppe D’Antona del dipartimento di sanità pubblica, medicina sperimentale e forense e direttore del centro interdipartimentale delle attività motorie e sportive (Criams) dell’Università di Pavia e dal nutrizionista Massimo Negro, ha analizzato il ruolo della vitamina C.
E ha tolto qualche speranza. Lo studio, infatti, mette in luce che "sebbene sia stato registrato un aumento importante delle vendite di vitamina C immediatamente dopo la dichiarazione dello stato di emergenza globale, al momento non ci sono prove che l’integrazione di vitamina C possa proteggere le persone dal virus Sars-CoV2". In alcune categorie a rischio come anziani, cardiopatici, diabetici e obesi, invece, "un’integrazione con vitamina C potrebbe ridurre i markers dell’infiammazione, quindi la suscettibilità all’infezione, e l’eventuale sviluppo della malattia". Infine, come riporta una nota dell’Università "emergono dalla letteratura dati interessanti sulle somministrazioni in vena di vitamina C ad alte dosi (in regime ospedaliero), che suggerirebbero un potenziale utilizzo farmacologico per il trattamento della polmonite causata da infezione da Sars-CoV2". Nell’attesa di un vaccino, intanto la rapida diffusione mondiale della Sars-CoV2 e il conseguente stato di emergenza riconosciuto dall’Organizzazione mondiale della sanità hanno richiesto uno sforzo alla comunità scientifica per identificare possibili strategie preventive e terapeutiche. L’attenzione dei ricercatori si è indirizzata su trattamenti adiuvanti basati su evidenze indirette come ad esempio lo stato di sepsi, che condivide con Sars-Cov2 lo stesso grado drammatico di infiammazione. "Infatti - così la nota dell’Università -, la vitamina C svolge un ruolo importante nel mantenimento di un sistema immunitario efficiente e, dalle prime teorie di Linus Pauling, viene venduta sotto forma di integratore alimentare per rinforzare le difese immunitarie nei confronti di patogeni di varia natura".
Dai tempi di Pauling, diverse evidenze sono state acquisite sul ruolo fisiologico della vitamina C e l’impatto della sua supplementazione sulla salute dei soggetti. Per far chiarezza sul tema, si è riunito un gruppo di esperti in nutrizione, fisiologia, clinica medica e igiene mettendo in luce diversi aspetti, alcuni consolidati, altri ancora da confermare, di un possibile utilizzo di questa vitamina per contrastare Sars-CoV2. Lo studio ha visto il fondamentale contributo di Giuseppe Cerullo dell’Università di Napoli Parthenope e delle professoresse Mariangela Rondanelli e Hellas Cena. E proprio il prorettore alla Terza missione dell’Ateneo pavese, Hella Cena è tra gli autori di uno studio internazionale di esperti in ambiente, biodiversità e nutrizione che è stato pubblicato su Frontiers per "Ripensare alla prevenzione dell’epoca del Covid" mettendo in luce il ruolo strategico specifico delle città nello sviluppo di sistemi alimentari sostenibili e nella promozione di una corretta alimentazione, rendendo facili le scelte salutari.