Montù Beccaria (Pavia) - Il cadavere viene ritrovato in un dirupo lungo il passo della Cisa, alla località Montelungo, da due cacciatori di Massa Carrara che danno l’allarme ai carabinieri di Pontremoli. Il corpo è mummificato. La testa staccata dal tronco. Da un ramo di un albero, penzola una corda con un cappio a nodo scorsoio. Ai piedi dell’albero una candela e un coltello da cucina conficcati nel terreno, due accendini del tipo usa e getta, il porta patente vuoto con la scritta di un’autoscuola di Stradella. Nessun documento.
Venticinque anni. È il 7 settembre 1996, un sabato. Un quarto di secolo per un enigma su cui non ha mai smesso di gravare un pesante sospetto di satanismo, di un rito settario con un epilogo di morte. Grazie a un calco dentario il cadavere viene identificato per quello di Fabio Rapalli, scomparso il 19 maggio dall’abitazione di Costa Montefedele, comune di Montù Beccaria, sui colli dell’Oltrepò Pavese. Il test del Dna conferma. Fabio ha 31 anni. Vive con il padre, imprenditore edile, il fratello gemelllo, la sorella, il cognato, il nipote. È schivo, solitario. Il 16 maggio, tre giorni prima di smaterializzarsi, contrariamente alle sue abitudini di non allontanarsi da casa, è partito alla guida della sua motocicletta Aprilia Pegaso. È ricomparso in tarda serata, stravolto, la fronte segnata dal casco. Incalzato dalle domande dei familiari racconta di essere stato a Genova. Ha percorso l’autostrada senza essere fermato.
Al ritorno stranamente, è passato per la Cisa. Stranezze, interrogativi, misteri a grappoli. Il 2 novembre i carabinieri ritrovano la moto con il serbatoio completamente asciutto e il casco a poche centinaia di metri dal luogo dove si trovava il cadavere. Subito dopo il ritrovamento, la zona è stata battuta da Carlo Rapalli, il padre di Fabio, e da alcuni dei suoi dipendenti che non hanno notato nulla. La moto e il casco non portano segni di ruggine come sarebbe stato normale se fossero rimasti per tanto tempo esposti alle intemperie. Neppure le parti metalliche degli accendini erano intaccate dalla ruggine. La candela era perfettamente bianca. E ancora. Fabio non era neppure capace di allacciarsi le scarpe. Come si spiega allora la corda con il nodo scorsoio? Secondo l’autopsia il decesso è avvenuto ai primi di luglio. C’è un vuoto di quaranta, cinquanta giorni fra il giorno della scomparsa e quello della morte. Dove è stato Rapalli, con chi, cosa ha fatto? Il Diavolo occhieggia nel dramma di Fabio Rapalli.
Ricorda don Luciano Chiesa, all’epoca parroco di Costa Montefedele, oggi a Rovescala: "Eravamo in piazza, circa un mese prima che sparisse. Fabio aveva comprato delle caramelle. Era molto goloso. Mi ha chiesto: ‘Il Diavolo esiste?’. Alla mia risposta ‘Sì, esiste’ ha interrotto il colloquio. Ha preso la moto e se n’è andato". Candele e accendini (Fabio non fumava) suggeriscono l’idea di un rituale. Nella camera del ragazzo viene trovato un libro dove è stato infilato un foglio con il disegno di una croce rovesciata. Il 7 giugno 1997 sulla lapide provvisoria della tomba di Fabio, nel piccolo cimitero di Costa Montefedele, vengono tracciate con una sostanza traslucida una forca a tre punte e la scritta “siamo noi”. Un altro dramma fa da interfaccia a quello di Fabio Rapalli.
La mattina del 25 novembre 1998, nella medesima località Montelungo di Pontremoli, viene rinvenuto il corpo di Roberto Bossi, 31 anni, autotrasportatore di Castel San Giovanni (Piacenza). È nella Volvo del padre, morto dopo avere ingerito soda caustica. Da tempo si mostrava strano taciturno. Aveva preso a frequentare assiduamente le chiese. Claudio Ghini per anni si occupò delle indagini prima come sottufficiale dei carabinieri di Stradella, poi come investigatore privato nominato dalla famiglia Rapalli: "Fabio è sicuramente morto durante un rito. È probabile che Bossi abbia assistito e abbia deciso di andare a morire nello stesso luogo. Dopo tanto tempo il reato di favoreggiamento è prescritto. Allora, chi sa parli".