Una telefonata arrivata alla stazione dei carabinieri ha rotto la monotonia del pomeriggio di una domenica d’agosto: "Venite, ho ucciso mio marito". Sono passati 25 anni da quella chiamata. Dall’altro capo del telefono c’era Milena Quaglini, la donna ribattezzata la vedova nera del Pavese. Quarantuno anni, figlia di un padre alcolista e violento nei confronti della moglie e delle due figlie, la donna la sera prima di quella telefonata, al termine di una lite aveva ucciso il marito. Ma aveva assassinato anche prima e pure dopo con un denominatore comune: le vittime erano uomini violenti, che l’avevano maltrattata o umiliata. “La casalinga killer“, come è stata definita la donna che forse si era innamorata di un solo uomo nella vita, il primo marito morto prematuramente.
Rimasta sola , Milena Quaglini si è trasferita a Travacò dove conobbe Mario Fogli. I due si sposarono ma qualcosa si ruppe subito e Milena si spostò in Veneto dove lavora come collaboratrice domestica anche a casa di un usuraio, Giustino Della Pozza, che in cambio del denaro chiesto dalla donna per comprare il motorino al figlio, pretende delle prestazioni sessuali. Così afferra una lampada e lo colpisce alla testa, poi esce e finge d’aver trovato il corpo. Gli inquirenti non sospettano di Quaglini, pensano a un debitore.
La donna torna a Broni a casa del marito, però il menage non funziona. Lei non sta bene e il marito continua a umiliarla. All’inizio d’agosto, quando l’uomo è addormentato, lo uccide, porta il cadavere sul balcone e lo lascia avvolto in un tappeto. Condannata a 14 anni di carcere con attenuanti alla donna viene riconosciuta la semi-infermità mentale. Trasferita in una clinica per seguire un programma di disintossicazione dall’alcol, Milena incontra Angelo Porrello, condannato a sei anni di reclusione per violenza sessuale su minori.
Dopo due giorni di convivenza, lui la assale e la violenta. Milena lo ferma e si allontana con la scusa di un caffè, nella tazzina gli scoglie del sonnifero e un antidepressivo poi nasconde il cadavere in un letamaio. Al processo Quaglini fu condannata, ma alla vigilia della sentenza per l’omicidio di Angelo Porrello, decise di farla finita.
«Non bisogna mai lasciare le donne sole in certe situazioni - dice Paola Tavazzi, presidente della cooperativa Liberamente -. Noi cerchiamo di accompagnare le donne maltrattate, dando degli strumenti riparativi, in questo modo aiutiamo anche i loro figli. Perché non è detto che un minore cresciuto in una famiglia violenta diventi a sua volta un violento. A differenza di quanto accadeva 25 anni fa abbiamo molte professionalità a disposizione e leggi adeguate, ma c’è ancora molto da fare".