Broni (Pavia), 6 settembre 2019 - Morta per epatite c contratta per una trasfusione infetta, i figli ottengono giustizia in secondo grado. La corte d’appello di milano ha riconosciuto un risarcimento da 171.517,21 euro ciascuno ai due figli dell’anziana vittima, condannando al pagamento sia il ministero della salute che la gestione liquidatoria della soppressa Ussl 79 di Voghera, di cui era parte l’ospedale di broni. la donna è morta a settantuno anni nel 2013, aveva contratto la malattia nel 1977 in seguito a quattro trasfusioni di sangue operate proprio all’ospedale di Broni.
L’epatite c l’aveva portata ad ammalarsi di tumore al fegato, che le è stato fatale. in primo grado, il tribunale aveva riconosciuto un risarcimento di 50.000 euro a testa ai due eredi, la responsabilità era stata attribuita solo al ministero della salute. nella sentenza d’appello, i giudici spiegano che la cifra era "molto al di sotto dei minimi tabellari", ma che tuttavia non sarebbe stata da versare ai figli neppure il massimo previsto dalla legge, in quanto "deve presumersi in sintonia con quanto statuito sul punto dal tribunale, ch’essi fossero in grado di affrontare il dolore con maggiore forza e compostessa a paragone di soggetti più giovani, potendo contare l’uno sull’altra". Da qui la quantificazione del risarcimento.
Inoltre, la corte ha riconosciuto la responsabilità della gestione liquidatoria dell’ex Ussl 79 di Voghera, per l’ospedale: "La responsabilità dell’ente ospedaliero nei confronti del paziente ha valore contrattuale e può conseguire sia all’inadempimento delle obbligazioni direttamente a suo carico sia all’inadempimento delle prestazioni medico sanitarie svolte dal personale", si legge nel testo.
Soddisfatto l’avvocato Alessio Corna, che ha assistito i due ricorrenti: "finalmente giustizia è stata fatta – commenta il legale –. era ovvio che l’ospedale fosse responsabile del virus contratto dalla paziente che ha patito per ben trentasei anni gli effetti negativi dell’epatite c prima di morire per coma epatico".