MANUELA MARZIANI
Cronaca

Alla scoperta del mantello del Tirreno: nuove rivelazioni sulla formazione degli oceani grazie all’Università di Pavia

Uno studio internazionale a firma tra gli altri dell’ateneo e di Cnr-Ismar e pubblicato su Nature Communications apre nuovi scenari per comprendere la formazione degli oceani

La spedizione nel Mar Tirreno nell'ambito della ricerca

La spedizione nel Mar Tirreno nell'ambito della ricerca

Pavia, 18 marzo 2025 - Uno studio internazionale, pubblicato su Nature Communications, evidenzia la presenza nel Mar Tirreno di un mantello terrestre molto diverso da quello osservato in ambienti tettonici simili, aprendo nuovi scenari per comprendere la formazione degli oceani. La ricerca, frutto dell’ultima spedizione IOPD 402, è a firma, tra gli altri, dell’Università di Pavia e del Cnr-Ismar. Il nostro pianeta è suddiviso in tre strati principali: crosta, mantello e nucleo. Il mantello, situato sotto chilometri di sedimenti e rocce magmatiche, è normalmente inaccessibile e raggiungerlo è stato uno degli obiettivi principali delle trivellazioni scientifiche in mare. Negli anni ’80 si è scoperto che, in alcuni punti dell’Oceano Atlantico, il mantello affiora in corrispondenza delle dorsali oceaniche, catene montuose sommerse che originano la crosta oceanica e separano i continenti. Da allora, numerose spedizioni della nave da perforazione JOIDES Resolution sono state dedicate allo studio di questo strato. Tuttavia, solo cinque spedizioni sono riuscite a raccogliere più di 50 metri di rocce di mantello, prevalentemente lungo le dorsali oceaniche dell’Atlantico e del Pacifico. La spedizione IODP 402 è stata finanziata dall’International Ocean Discovery Program (IODP), a cui partecipa IODP-Italia, e si è svolta nel mar Tirreno sotto la guida scientifica di Nevio Zitellini dell’Istituto di scienze marine del Cnr (Cnr-Ismar) e Alberto Malinverno del Lamont-Doherty Earth Observatory (Usa). Il nuovo studio evidenzia negli ‘oceani nascenti’ come il Mar Tirreno, una natura geologica del mantello diversa rispetto a quella degli oceani maturi ed ai margini continentali. La ricerca è pubblicata sulla rivista Nature Communications a firma, tra gli altri, dell’Università di Pavia, del Cnr-Ismar e delle università di Catania, Firenze, e Modena e Reggio Emilia. “Il Mar Tirreno è un bacino oceanico molto giovane dal punto di vista geologico, formatosi circa 10 milioni di anni fa. Nel 1986, una perforazione scientifica ha consentito di raccogliere circa 30 metri di rocce provenienti dal mantello terrestre, caratterizzate da un impoverimento di elementi chimici legati ai processi di fusione magmatica. Questo significa che, in passato, parte del materiale del mantello ha subito un processo di fusione parziale, determinato dalla decompressione delle rocce mentre risalivano dalle decine di chilometri di profondità - dice Nevio Zitellini, Cnr-Ismar -. A queste grandi profondità, le rocce sono sottoposte a pressioni estremamente elevate, che impediscono ai fusi magmatici di separarsi e risalire. Tuttavia, quando il mantello si muove verso la superficie, la pressione diminuisce progressivamente, permettendo al magma di liberarsi e generare nuova crosta oceanica. Questo processo di fusione per decompressione è fondamentale non solo per comprendere la nascita degli oceani, ma anche il funzionamento interno del nostro pianeta, poiché influenza lo scambio chimico tra il mantello terrestre e gli strati più superficiali del nostro pianeta.” La spedizione IODP 402 ha effettuato due perforazioni più profonde, a 170 e 130 metri, rivelando che il mantello del Tirreno non si è impoverito, durante il processo di risalita delle rocce del mantello, mantenendo quindi un elevato potenziale per generare nuovo magma. L’eterogeneità riscontrata in quest’area è superiore a quella osservata in altri ambienti tettonici, come dorsali oceaniche e margini continentali. “Utilizzando osservazioni petrologiche e analisi geochimiche effettuate direttamente in nave, abbiamo dedotto che gran parte di questa eterogeneità è stata causata da magma che rimane intrappolato nelle rocce del mantello durante la risalita - spiega Alessio Sanfilippo, del dipartimento di scienze della terra e dell’ambiente dell’università di Pavia e primo firmatario della pubblicazione -. Contrariamente alle ipotesi precedenti, il nostro lavoro mette in evidenza che la formazione di questi bacini oceanici senza una vera e propria crosta magmatica, non è dovuta al fatto che il mantello non produce fuso, ma che i fusi rimangono intrappolati nelle parti più profonde della litosfera, senza mai raggiungere la superficie terrestre”. I risultati dello studio aprono nuove strade di ricerca che proseguiranno con ulteriori ricerche sui campioni raccolti per migliorare la comprensione dell’evoluzione geologica del nostro pianeta.