Voghera (Pavia), 6 novembre 2024 – La giudice di Pavia Valentina Nevoso ha trasferito gli atti del processo all'ex assessore leghista alla Sicurezza Massimo Adriatici alla Procura ritenendo che debba essere giudicato per omicidio volontario in relazione alla morte di Youns El Boussetaoui, il senzatetto marocchino morto in piazza Meardi a Voghera la sera del 20 luglio 2021.. Per la giudice, è sbagliata l'imputazione di “eccesso colposo di legittima difesa”, formulata dalla Procura. Ci sono “gravi, precisi e concordanti indizi di omicidio a carico di Adriatici quantomeno col dolo eventuale”, ha detto la giudice leggendo una lunga ordinanza.
Nel leggere l'ordinanza, la giudice ha più volte sottolineato che l'ex assessore leghista “ha accettato l'evento nefasto”, cioè che El Boussetaoui potesse morire. “Non si può parlare di legittima difesa perché fu lui a creare ed accettare una situazione di pericolo”, è la tesi della giudice che ha evidenziato anche come quella sera Adriatici agì da “privato cittadino” anche se, data la sua lunga esperienza di poliziotto, avrebbe dovuto immaginare che si sarebbe messo in una condizione di pericolo. Dopo la lettura del verdetto, i genitori e i fratelli e le sorelle della vittima si sono abbracciati tra loro in lacrime e anche con gli avvocati di parte civile, Debora Piazza e Marco Romagnoli.
La difesa di Adriatici
Alla vigilia della sentenza, la difesa di Massimo Adriatici aveva depositato nella cancelleria dei giudici un'ultima memoria confutando alcuni punti della requisitoria del pm Roberto Valli. Al rappresentante dell'accusa che aveva parlato nell'udienza del 23 ottobre di “eccesso colposo di legittima difesa” gli avvocati Gabriele Pipicelli e Luca Gastini avevano ribattuto sostenendo che non c’è stata una sproporzione nella reazione del loro assistito perché “non si è trattato di un normale fronteggiarsi tra due persone, Adriatici è già stato aggredito e buttato a terra e si ritrova addosso l'aggressore che, oltretutto, sembra aver raccolto qualcosa da terra per essere ancora piu' efficace nella propria azione lesiva”. La vittima, che viveva per strada, morì per l'emorragia provocata dal proiettile.
Secondo la tesi dei legali, “l'aggressore gli aveva già dimostrato di essere senza freni - e, quindi, assai pericoloso anche a mani nude - dal momento che gli aveva sferrato un violento colpo, tale da abbatterlo, incurante dell'arrivo della polizia e dell'effetto dissuasorio dell'arma mostratagli: di tal che, oltre a trovarsi steso a terra, stordito dal doppio colpo subito al volto e alla nuca, egli aveva tutte le ragioni di temere che, con o senza oggetti in meno, El Boussetaoui potesse infierire su di lui fino a cagionargli gravissime lesioni, temendo anche per la propria stessa vita”. E ancora: “L'imputato ha dovuto assumere nello spazio di un secondo - lo ha fatto legittimamente e non trasmodando dai confini della necessita' e della proporzione dal momento che egli sapeva di avere un'arma di limitata, seppur ovvia, micidialità - ha sparato una sola volta, e non alla testa o al cuore, e quindi ha cercato di arrestare, col mezzo di cui disponeva e nella situazione in cui si trovava, il proprio aggressore”.
Gli avvocati di parte civile
Gli avvocati di parte civile Debora Piazza e Gabriele Romagnoli, che affiancano i familiari della vittima, avevano chiesto l'aggravarsi della contestazione in omicidio volontario per l'ex assessore, avvocato ed ex poliziotto. La carica in giunta che allora ricopriva, aveva argomentato Romagnoli, "introduce necessariamente un tema politico che serve per far comprendere perché l'odierno imputato la sera dei fatti era in piazza Meardi e stava facendo una ronda di quartiere. Era un soggetto armato, che esce di casa, va nel luogo dove sapeva che i disturbi venivano arrecati, attende lì, perché sapeva che la persona che poi ha incontrato era lì, perché era quella che stava aspettando, che stava cercando e quando la vede, la segue e avviene quello che avviene dopo che lo ha pedinato per 12 minuti. In quegli attimi Youns si avvicina come una persona che si vede seguita e vuole capire perché, come farebbe tutti. E' un uomo malato, che zoppica, claudicante, con il braccio sinistro rappreso, mal nutrito, coi vestiti stracciati, tutt'altro che aggressivo. L'imputato invece – aveva continuato il legale - non è una persona inesperta, si è detto che ha eseguito centinaia di arresti, custode di segreti d'indagine, che sa riconoscere e gestire le situazioni, non parliamo di una casalinga o di una studentessa. Anche se si vedesse aggredito, quante cose avrebbe potuto fare? Con due falcate era nel bar, o dall'altra parte della piazza. Poteva offrirgli un panino per calmarlo. E invece tira fuori l'arma, e la esibisce, e dice anche che si é sincerato che Youns la vedesse. Queste cose succedevano nel Far West. Chi si e' difeso da chi? Per noi non sarà mai legittima difesa".
La versione dell’imputato
Interrogato dal pm, Adriatici spiegò di avere impugnato la pistola solo una volta caduto a terra "perché nella mano sinistra tenevo il cellulare, mentre con la destra impugnavo la pistola rivolta verso il basso e non ho esploso il colpo volontariamente. Ero consapevole dell'elevata pericolosità del soggetto in virtù dei precedenti episodi di cui ho già riferito, nonché del lancio della bottiglia di vetro. Per questo motivo ho ritenuto di dover estrarre l'arma solo per mostrarla, ma tenendola diretta verso il basso, volevo solo che lui si accorgesse che ero armato".
Adriatici ha raggiunto un accordo con la vedova della vittima per un risarcimento di 250mila euro col ritiro della costituzione di parte civile.