
Patrick Zaki col rettore Alessandro Maranesi
Cinque anni fa iniziava il suo calvario, arrestato e rinchiuso nelle carceri egiziane senza aver commesso alcun reato. Dietro le sbarre Patrick Zaki, all’epoca studente dell’Università di Bologna, tornato al Cairo pochi giorni a vedere casa, amici e famiglia, ci rimase 670 giorni per aver combattuto per i diritti umani. E proprio di diritti umani Patrick, 33 anni, dottorando alla Normale di Pisa, ha parlato ieri con gli alunni del collegio Ghislieri, prima di trasferirsi nell’aula magna dove, invitato dal professor Gianni Francioni, ha presentato il libro “Sogni e illusioni di libertà. La mia storia“. La sua vicenda, infatti, è un simbolo della lotta per i diritti fondamentali, oggi più che mai minacciati in molte parti del mondo.
La libertà è un valore che spesso diamo per scontato, ci si accorge della sua importanza solo quando si perde? "Assolutamente sì" risponde Patrick Zaki. "Prima del carcere ovviamente sapevo che la libertà era un diritto fondamentale, ma solo quando l’ho persa ho capito fino in fondo cosa significhi vivere senza. Ogni piccolo gesto quotidiano diventa un privilegio quando sei in prigione: poter scegliere cosa leggere, con chi parlare, dove andare. La libertà non è solo un concetto astratto, ma una condizione essenziale per la dignità di ogni persona".
Come sono stati i mesi di prigionia? "Durissimi, ho vissuto la privazione della libertà e l’ingiustizia sulla mia pelle. Sono stato arrestato senza un processo equo, trattenuto per quasi due anni in condizioni difficili, solo per aver svolto il mio lavoro di ricerca e aver difeso i diritti umani. In prigione ho vissuto la violenza del sistema, l’incertezza quotidiana, la paura di non sapere cosa sarebbe successo il giorno dopo. Ma ho trovato la forza di resistere, perché sapevo che fuori c’erano persone che chiedevano la mia libertà".
A che cosa si è aggrappato? "Mi ha tenuto vivo la speranza, la consapevolezza che non ero solo. Ogni volta che ricevevo una lettera o venivo a sapere delle manifestazioni in mio sostegno, sentivo un’energia incredibile. L’amore della mia famiglia, il supporto dei miei amici e della comunità accademica di Bologna sono stati l’ancora di salvezza".
Cosa le ha lasciato il carcere? "Mi ha segnato profondamente, ma non mi ha spezzato. Mi ha reso ancor più consapevole di quanto sia importante lottare per i diritti umani, per tutti coloro che ancora subiscono ingiustizie. Mi ha fatto capire che la mia voce, come quella di tante altre persone, può fare la differenza. Sono una persona diversa, ma ho scelto di trasformare il dolore in una forza per continuare a combattere". M.M.