
Attilio Fontana, leghista, è presidente della Regione Lombardia dal 26 marzo 2018
Milano – Se dovessimo cercare l’antitesi del politico che fa notizia ogni volta che parla, probabilmente troveremmo Attilio Fontana. Avvocato varesino, classe 1952, presiede la Lombardia da sette anni con una sobrietà più nordica che italiana. Non è il tipo d’uomo che suscita passioni irrefrenabili, non tuona dal palco: è composto, misurato, garbato (persino coi giornalisti). Governa più di quanto predica. E sarà forse per questo che attualmente è al suo secondo mandato e che i sondaggi lo eleggono come il terzo presidente di regione più amato d’Italia, raccogliendo il consenso del 61 per cento dei lombardi (dati di Lab21.01 per Affaritaliani). Lo superano solo Luca Zaia, del Veneto, e Massimiliano Fedriga, del Friuli Venezia Giulia: tutti e tre leghisti, peraltro. Bisogna scendere al quarto posto – e di qualche latitudine – per trovare un membro del Partito democratico: Vincenzo De Luca.
Fontana è giunto al vertice della Lombardia dopo una lunga gavetta politica: sindaco di Induno Olona (diecimila abitanti), presidente del Consiglio regionale e poi sindaco di Varese, dove ha casa nella tranquilla e isolata zona di Velate. Rappresenta bene quella compagine istituzionale della Lega che predilige l’amministrazione alla propaganda. D’altra parte non ha mai ceduto al “verde leghista”, se non in qualche rara apparizione con la cravatta di partito. È un conservatore con qualche nota anomala: leghista di ferro in materia di immigrazione, non vuole patrocinare il Pride, ma sostiene il suicidio assistito in opposizione alla maggioranza di centrodestra.
Il Covid-19 lo ha colto di sorpresa, come tutti. E mentre la sua regione diventava l’epicentro italiano della pandemia, lui procedeva a tentoni tra ospedali da campo, polemiche sui dati, inchieste sulle zone rosse e scandali sulle forniture sanitarie. Ricordate la vicenda dei “camici”? Prosciolto. E archiviate sono tutte le inchieste che lo hanno sfiorato.

Beninteso, non è un tribuno né un visionario. È un uomo tranquillo che gioca a golf e si appassiona forse più davanti a un’opera d’arte che a una partita del Milan (la sua squadra del cuore). Potrebbe rassomigliare a un notaio se non fosse per quella perenne “barba di tre giorni” – la chiamano così i barbieri. Rappresenta quell’establishment leghista di seconda generazione ben radicato nel tessuto locale, quello fatto di associazioni e campanili: preferisce la provincia a Milano. Sui milanesi ebbe a dire che “vivono fuori dalla realtà di tutti i giorni”.
Sotto la sua guida, la Lombardia resta la locomotiva d’Italia, ma con non poche contraddizioni: eccellenze sanitarie e liste d’attesa infinite, industrie all’avanguardia e livelli record di inquinamento, mobilità sostenibile e trasporto ferroviario inefficiente. Eppure, in queste contraddizioni riesce quasi sempre a illuminare il lato buono e a uscire indenne dalle ricorrenti tempeste. Non è un Bossi, non è un Salvini. Fontana è il potere che amministra senza esaltazione, che sopravvive alle crisi, che non perde la poltrona. Uno che alla fine, a dispetto dei detrattori, piace. O almeno, così dicono i sondaggi.