Arese (Milano), 5 marzo 2019 - Si torna in aula venerdì al Tribunale di Milano. Con un nuovo collegio e un processo probabilmente tutto da rifare. E intanto gli operai dell’Alfa Romeo di Arese morti, secondo l’accusa per patologie tumorali causate dall’esposizione all’amianto sul posto di lavoro, attendono giustizia. Riprende tra pochi giorni il processo d’Appello a carico di cinque ex manager di Fiat, Alfa Romeo e Lancia accusati di omicidio colposo e assolti in primo grado.
Rirprende con tanti dubbi. Lo scorso 23 gennaio, giorno in cui erano attese le arringhe dei difensori, il presidente del collegio della quinta sezione penale della Corte d’Appello, Pietro Carfagna, aveva comunicato che non poteva concludere il processo, già arrivato nella fase finale, perché andava in pensione e aggiornato l’udienza all’8 marzo per la composizione di un nuovo collegio di giudici. Senza un eventuale accordo tra le parti per mantenere validi gli atti del processo che si è svolto finora, il procedimento potrebbe ripartire da zero. Il procuratore generale della Corte d’Appello di Milano, Nicola Balice, con una complessa requisitoria aveva demolito la sentenza di primo grado, chiedendo 3 anni per l’ex ad di Fiat Auto Paolo Cantarella, 4 anni per l’ex ad di Alfa Lancia Industriale Giovanni Battista Razelli, 3 anni per l’ex presidente Fiat Giorgio Garuzzo, 4 anni per l’ex presidente di Lancia Industriale spa Pietro Fusaro e 3 anni e 3 mesi per Vincenzo Moro, ex ad Alfa Romeo.
"Speriamo che ci sia la volontà di andare a fondo in questa vicenda giudiziaria", dichiara Mirko Rizzoglio, avvocato difensore dello Slai Cobas, sindacato che si è costituito parte civile nel processo. "Purtroppo il tema delle morti per amianto è molto controverso, l’impressione è che l’orientamento giudiziale del tribunale milanese sia quello di andare verso l’assoluzione degli imputati, cioè dei manager delle grandi imprese dove ci sono stati operai morti a causa dall’esposizione all’amianto, che avrebbero dovuto vigilare sulla sicurezza degli ambienti di lavoro", commenta Corrado Delle Donne, rappresentante sindacale Cobas. Il tribunale infatti aveva assolto in primo grado gli imputati perché non era stato "possibile accertare" se l’amianto presente nello stabilimento aresino, tra la metà degli anni ‘70 e la metà degli anni ‘90, "abbia o meno causato, o concorso a causare, i decessi per tumore polmonare o mesotelioma pleurico dei 15 lavoratori che in quella fabbrica hanno prestato per molti anni la loro attività".